
Utero in Affitto, la brutale verità dietro il caso della coppia italiana fermata in Argentina
Una donna povera e disoccupata, con una figlia a carico e in una condizione di estrema fragilità sociale. È il profilo della 28enne di Rosario, in Argentina, coinvolta in un caso di utero in affitto per una coppia italiana scoperto nel corso di alcuni controlli all’aeroporto di Buenos Aires. I due italiani e la donna sono stati fermati mentre cercavano di imbarcarsi con una neonata di 15 giorni su un volo diretto a Parigi, da dove poi avrebbero fatto rientro in Italia. Un ordine federale, però, li ha fermati, facendo emergere una realtà di compravendita della bimba, che spazza via tutti i discorsi zuccherosi sull’utero in affitto come incontro tra desiderio di genitorialità da un alto e altruismo di alcune donne dall’altro. E che riporta la gestazioni per altri a quello che è: una pratica di sfruttamento, dietro la quale c’è sempre qualcuno che lucra.
Il caso della coppia che ha fatto ricorso all’utero in affitto in Argentina
La coppia italiana è composta da due uomini, ma nella valutazione del caso come emblematico di ciò che accade intorno all’utero in affitto si tratta di una circostanza irrilevante: che si tratti di coppie etero o di coppie omosessuali la sostanza non cambia. La natura della coppia può aver influito, invece, sul rendere più immediatamente riconoscibile ciò che stava accadendo. Le cose, così come le ha raccontate il quotidiano La Nacion, sono andate così: la donna si sarebbe presentata in aeroporto per firmare il consenso a far viaggiare da sola la neonata con l’uomo indicato come padre; dai documenti entrambi risultavano come genitori, ma l’uomo, che sarebbe il padre biologico, risultava essere stato in Argentina una sola volta prima di questo viaggio, lo scorso anno. La donna, inoltre, risultava residente in un quartiere povero della città di Rosario, mentre la bimba era nata il 10 ottobre in un clinica di Buenos Aires. Elementi che hanno fatto scattare il fermo e la segnalazione e hanno spinto le autorità federali a emettere per tutti i protagonisti un divieto di lasciare il Paese.
La bimba “comprata” per 5.500 euro. La madre surrogata: “Avevo bisogno di soldi”
Dalle indagini successive è emerso che i sospetti della prima ora erano fondati. La donna ha ammesso che la bimba era nata da maternità surrogata e, dopo un primo tentativo di farla passare come altruistica, ha confessato che la gravidanza era stata portata avanti per soldi. Le erano stati promessi 10 milioni di pesos, l’equivalente di circa 9.300 euro, al sesto mese di gravidanza gliene sono stati versati 6 milioni, poco più di 5.500 euro. “Avevo bisogno di soldi”, ha detto la donna, aggiungendo che grazie a quel denaro “ho potuto aiutare mia madre” e che “mi hanno detto che non avrei mai dovuto pentirmi di quella scelta: tanto quel bambino non era mio”.
Le indagini degli inquirenti argentini su un’organizzazione che sfrutta le donne
Il sospetto degli inquirenti argentini, che attualmente lavorano su un centinaio di casi simili, è che dietro questa vicenda ci sarebbe un’organizzazione che sfrutta le donne in situazione di estrema vulnerabilità, facendo leva, con un’altra forma di sfruttamento, sul desiderio di genitorialità di committenti disposti a pagare pur di avere un figlio. È a queste organizzazioni che mira la giustizia del Paese, dove la Gpa non è regolamentata e dunque “non è ancora chiaro di quale reato si tratti o chi sia il responsabile”, come spiegato da un funzionario. I due cittadini italiani, nonostante il divieto di lasciare l’Argentina, non sarebbero sotto inchiesta. Dal 16 ottobre l’Italia considera la maternità surrogata come un “delitto universale”, ovvero perseguibile in Patria anche se commesso all’estero, e la coppia fermata in Argentina rischia quindi l’apertura di un procedimento penale una volta rientrata.
Con o senza legge, l’utero in affitto è sempre sfruttamento
Il vuoto normativo che esiste in Argentina, per paradosso, aiuta una più completa comprensione del fenomeno anche rispetto ai Paesi dove la maternità surrogata è legale: senza l’ombrello della legge, la Gpa appare con estrema chiarezza nella sua essenza di brutale pratica di sfruttamento. Rispetto alla quale, dove esistono, le leggi fanno solo da paravento. Dalla corposa documentazione, prima di tutto contrattuale, che esiste sulla materia infatti emerge sempre lo stesso quadro: donne povere o in condizione di fragilità sociale ed economica che rinunciano a ogni diritto sul loro corpo e sul nascituro in cambio di cifre più o meno irrisorie a fronte di un articolato business che arricchisce altri. Dove c’è una legge che consente l’utero in affitto le strutture che stanno dietro alla pratica vengono chiamate agenzie, in Argentina dove una legge non c’è gli inquirenti usano la parola sfruttatori.