Feltri, non solo latino: “Parlo bene il napoletano. Gli insulti? Dai comunisti, per strada tutti si fermano per una foto”
“Di me possono dire quello che vogliono, resto indifferente. Gli insulti arrivano dai comunisti e affini. Ma per strada tutti mi fermano e vogliono una foto con me”. Vittorio Feltri si racconta in una lunga intervista al Corriere della Sera, in cui il filo conduttore sono i motti in quel latino che è protagonista del suo ultimo libro, Il latino lingua immortale (Mondadori). Tra confessioni intime e ironia, il direttore ripercorre aneddoti di vita e successi, concedendo più di una curiosità. “Parlo bene il napoletano. Ho imparato lo spagnolo in macchina da Bergamo a Milano, mentre l’inglese è l’unica lingua che non ho voluto imparare”, ha raccontato, rivelando che la sua canzone preferita è I’ te vurria vasà.
La formazione con monsignor Angelo Meli in latino e bergamasco
La sua formazione però è stata in bergamasco e latino, le lingue parlate da monsignor Angelo Meli, professore di Eloquenza al seminario di Bergamo, che per lui è stato “determinante”: “Ogni pomeriggio andavo da lui, mi parlava in bergamasco o in latino, mi ha insegnato tutto”. Lo conobbe in biblioteca, dove andava a studiare “senza riuscire a combinare molto”. “Si incuriosì e cominciò a darmi lezioni martellanti, che mi sono state utilissime e mi servirebbero anche oggi: era di una saggezza infinita. Io non sono cattolico, non credo in Dio, non credo in niente, però credo che monsignor Angelo Meli sia stato per me meglio di un padre. La notizia della sua morte mi ha procurato un dolore violento che non mi ha mai abbandonato. Con lui vicino mi sentivo più sicuro”.
L’infanzia, la moglie, i figli, la commozione per la laurea a 40 anni: il Feltri intimo
I ricordi affidati ad Elvira Serra, che firma l’intervista, partono dall’infanzia, dalla perdita del padre a 6 anni e dalla necessità di andare a lavorare a 14 per aiutare economicamente la famiglia. E, ancora, il matrimonio con Enoe Bonfanti, che dura da 57 anni, e alla quale Feltri fa dichiarazione di gratitudine assoluta per averlo soccorso quando si ritrovò giovane vedovo con due gemelle neonate, la cui madre era morta di parto. “Quando torno a casa sono felice di vederla e non potrei stare con nessun altro”, ha chiarito Feltri, pur ammettendo di non essere stato un marito impeccabile e definendo bonariamente la moglie “una gran rompiballe”. Feltri, al novero dei quattro figli – le gemelle Laura e Saba – e Mattia e Fiorenza, aggiunge anche Paolo, figlio della cognata, “che non ho adottato legalmente, ma è come se fosse un figlio”. L’immagine felice è quella di quando “l’infermiera mi ha messo tra le braccia Fiorenza e lei mi ha sorriso”. Un momento felice tutto suo è, invece, quello della laurea, presa a 40 anni, in Scienze politiche con il massimo dei voti: “Mi sono commosso”.
L’aborto “non è un diritto, ma una concessione cinica dello Stato”
Eppure per Fiorenza la coppia pensò all’aborto: “Ero contrario, però capivo che per la madre sarebbe stato difficile continuare a lavorare. Fissai l’appuntamento in Svizzera. Poi mi sono rifiutato perché l’aborto è un infanticidio non punibile”. “Che scelta è l’aborto? L’aborto non è un diritto, è una concessione cinica dello Stato”, è stata l’obiezione a una domanda sul fatto che la donna deve poter scegliere.
Dalla “patata bollente” al caso Tortora: le frecciate alla magistratura
Capitolo professione. Feltri ha rivendicato ogni momento della sua vita professionale, a partire dai titoli: “Possono piacere o non piacere, ma non sono certo un cronista dell’ultimo ora”. Quanto al famoso “patata bollente” riferito a Virginia Raggi per il quale è stato condannato a una multa di 11mila euro, ha spiegato che “intanto io non pago mai nulla, paga l’editore. E quella sentenza mostra solo il livello della nostra magistratura, che non conosce neanche la Treccani, perché patata bollette significa questione scottante”. Un’altra frecciata alla magistratura arriva in relazione al processo Tortora, il servizio più importante e grazie al quale ha capito che “i magistrati non conoscono il latino, altrimenti avrebbero saputo il significato di in dubio pro reo”.
Quando Andreotti gli disse: “Preferisco un nemico a un falso amico”
Feltri se sente fortunato, “anche quando sono stato assunto al Corriere, dove non conoscevo nessuno: mi aveva voluto Angelo Rizzoli. Quando in macchina aprii la busta con il contratto e lessi che lo stipendio era di un milione di lire, chiamai mia moglie: mi disse di tornare a casa che avrebbe controllato lei”. E rivendica di non aver mai fatto difetto di audacia, come quando fondò Libero: “Non avevo una lira. Poi ho venduto la baracca agli Angelucci e ci ho fatto un sacco di soldi, se non è volgare dirlo”. E, ancora, i ricordi intorno a Giulio Andreotti, con il quale instaurò un rapporto dopo uno scontro per un suo articolo e che difese nei processi perché “me lo chiese lui a casa di Cirino Pomicino, sull’Appia Antica, e gli dissi di sì perché ero convinto che fosse giusto. Prima di salutarci gli domandai perché lo avesse domandato a me. E lui: preferisco un nemico a un amico falso”.
Il diploma da vetrinista utile anche nel lavoro, non solo per il look
Non suona più il piano, perché “ho perso qualsiasi abilità con le dita e con la testa”, ma resta elegantissimo, come nota Serra chiedendo se in questo abbia un merito il diploma da vetrinista. “Lì ho raffinato, ma fin da bambino ci tenevo. Il diploma mi ha aiutato con le prime pagine, che sono come le vetrine per attirare i clienti”, ha chiarito Feltri, spiegando che smetterà di lavorare “quando mi accorgerò che non capisco più niente. Quel giorno si sta avvicinando. E comunque se guadagnaste ciò che guadagno io, non vorreste smettere”. Più che di morire, il direttore ha spiegato di aver paura di soffrire, sebbene “se penso che morirò tra 10 minuti mi dispiace”.
I cavalli, i gatti e perfino un topolino: l’amore di Feltri per gli animali
Infine, un passaggio sugli amati animali. Di cavalli ne ha tenuto solo uno, ormai vecchio, al quale ha fatto rifare la bocca, perché “aveva i denti ammalati e non mangiava più”. Due li ha regalati al carcere di Bollate. “Un altro l’ho dovuto abbattere: prima dell’iniezione ha allungato una zampa e me l’ha messa in mano, per salutarmi”. I gatti restano la sua passione, ne “sono stato sempre innamorato” e “Ciccio è quello che preferisco”. Ma “ho allevato perfino un topolino”, ha raccontato Feltri, che alla constatazione secondo cui va più d’accordo con gli animali che con gli umani ha risposto: “Non c’è dubbio”.