Altro che “Nuovo” Pci, di inedito non ha nulla: tra i fondatori vecchie conoscenze dell’eversione rossa. Ecco chi sono
Con la guerra in Medioriente che estende i suoi confini torna d’attualità la vicenda della lista di proscrizione dei “sionisti” vergata dal Nuovo Pci, all’interno della quale come noto sono stati incasellati nomi di giornalisti, politici, imprenditori, esponenti del mondo culturale e aziende, finiti all’indice con la lettera scarlatta stampata in fronte per il sostegno a Israele nella guerra contro Hamas. Ora del caso non se ne parla da un po’, complice anche l’accelerazione impressa alle cronache da altre emergenze, Il Giornale però è tornato nelle scorse ore sull’argomento con un servizio di approfondimento che tra ricerca esegetica e analisi comparativa spiega come, in realtà, di “nuovo” nel Nuovo Pci – e ci si perdoni la tautologia – ci sarebbe ben poco. Vediamo come e perché
Nuovo Pci? Di “nuovo” c’è ben poco…
Del resto, certi tratti d’appartenenza rivelatori erano già saltati agli occhi anche dei meno addentro alla materia: il taglio eversivo nella stesura dei comunicati, il tono e i termini utilizzati nelle minacce anti-governative – tanto per capirci: tra le altre cose, in uno dei loro comunicati leggiamo l’esortazione a «rovesciare il governo Meloni rendendo ingovernabile il Paese fino a imporre un governo d’emergenza espressione degli organismi operai e popolari e del resto delle masse organizzate» – sono tutti segni di una grammatica militante sovversiva che, ahinoi, abbiamo imparato a conoscere bene. Pensavamo fosse un capitolo chiuso: e invece ecco che nella ciclicità di un eterno ritorno, rispunta dalla finestra quello che si credeva ormai fuori dalla porta.
Una vecchia grammatica militante sovversiva punteggia toni e minacce dei comunicati
E invece, rieccolo qua il (nuovo) Pci: quello che in occasione dell’annunciata manifestazione da parte del gruppo dei “Giovani Palestinesi” per commemorare l’assalto terroristico in Israele del 7 ottobre 2023 torna a minacciare le autorità che hanno deciso di vietare una manifestazione che intende elogiare i “martiri” della resistenza e (i terroristi) di Hamas. Da, qui, il solito corollario di invettive e minacce d’antan dei nuovi-vetero comunisti che, come ricostruisce Il Giornale, tanto in erba non sarebbero. Secondo quanto ha scoperto Il Giornale scavando sulle origini di questo movimento, infatti, spunterebbero nelle sua fondamenta «collegamenti diretti con il terrorismo degli anni Settanta, Ottanta e Novanta».
Nuovo Pci, liste aggiornate ma vecchie conoscenze dell’anti-terrorismo tra i fondatori
Tanto è vero che, scrive il quotidiano milanese, «il (nuovo) Pci, infatti, nonostante le cronache se ne stiano interessando con regolarità solo da qualche settimana, mette le sue radici oltre 20 anni fa, nel febbraio 1999. I toni dei comunicati di allora sono gli stessi di quelli di oggi. Il 1999 non è un anno come gli altri perché, in quello stesso anno, le nuove Brigate Rosse compiono la loro prima azione, uccidendo Massimo D’Antona. E, forse, tra le due organizzazioni esiste un collegamento».
E ancora: «Tra i fondatori del (nuovo) Partito Comunista Italiano ci sono due soggetti noti agli ambienti investigativi del terrorismo, Giuseppe Maj e Giuseppe Czeppel, fondatori anche dei Carc, i Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo, dai quali formalmente si allontanano per seguire il progetto di fondazione del nPci».
L’arresto per associazione sovversiva
Entrambi arrestati a Parigi nel 2003 per associazione sovversiva e produzione di documenti d’identità falsi, e su cui gravava l’individuazione di un collegamento logistico con formazione terroristica spagnola denominata Grapo (Gruppo di resistenza antifascista primo ottobre). E entrambi, scrive sempre Il Giornale, al centro di due diverse inchieste da parte delle procure di Bologna e Napoli: la prima incentrata sulle indagini per l’assassinio del professor Marco Biagi. La seconda per la fondazione di un nuovo gruppo sovversivo.
Arrestati oltralpe però i due vennero rilasciati sei mesi dopo, tornando alla clandestinità. Una fase che dura fino a quando, nel maggio del 2005, i due finiscono nuovamente in manette grazie alla polizia francese. «In un articolo di quell’anno del TgCom, – riferisce allora il quotidiano milanese – i due vengono considerati “vicini ad ex brigatisti rossi”. E non è un caso che tutt’oggi l’unico riferimento del nPci porti in Francia»…
Ma un alone di silenzio avvolge poi le vite e l’operato militante di Maj e Czeppel. «Di loro non esistono immagini pubbliche. E del secondo sono arrivate a noi relativamente poche informazioni, se non alcune lettere inviate ai “compagni” del nPci. Nel frattempo, però, la clandestinità perdura. Almeno ufficialmente…