Toghe e diritto di critica: c’è anche quello del governo, non solo quello dei magistrati
In una democrazia stabilizzata, qual è la nostra, vige un amplissimo diritto di critica da parte dei magistrati. Assistiamo ogni giorno ad esternazioni, singole e collegiali, di procuratori (di più) e di giudici (meno), in servizio e in quiescenza, delle loro rappresentanze: contro politiche, leggi, riforme; contro semplici progetti del potere esecutivo. Parlano e straparlano le toghe famose e quelle meno, occupano spazi mediatici, grandi e piccoli. Talvolta se ne servono perché, presto o tardi, la fama – io penso a quella omerica – apra loro le porte della politica, per riportare tesi e teoresi sui banchi parlamentari, quasi sempre di sinistra.
Il diritto di critica è solo quello dei magistrati?
Comunica l’Anm, il sindacato di giudici e pubblici ministeri: orba di qualsiasi continenza. Attaccano, contestano, protestano, manifestano, scrivono, pubblicano, scioperano; si concedono a interviste e intervistatori; vanno in trasmissioni, in talk show: dichiarano, replicano, rintuzzano, promuovono le proprie idee extra (talvolta intra) verdetti e ordinanze: senza remore, oltre ogni confine. In assoluta libertà. È la nostra democrazia. Va bene. Non bisogna lamentarsene. Si prenda atto che la libertà di pensiero si esprime così; anche così. È giusto ? È sbagliato ? È, punto.
Bilanciare i diritti di critica
In questo contesto il potere dei magistrati – che a volte si travestono da semplici “cittadini” per darsi il permesso di esprimersi ancora più radicalmente, più politicamente, senza frontiere poste dal proprio ruolo – non può non avere un bilanciamento: il diritto del governo – di qualunque governo – di esercitare lo stessa libertà di critica nei confronti di decisioni degli appartenenti all’ordine giudiziario; di singoli Pm e giudicanti; di corti e collegi; di correnti organizzate; dell’associazione che li rappresenta. Liberi gli uni, liberi gli altri. Possibilità ampia di espressione per tutti, dentro gli argini della Costituzione. Dopo avere incassato l’opposizione “politica” da ogni giurisdizione – da quella penale a quella (non) più felpata della Corte dei Conti – il governo esercita la propria facoltà di critica nei confronti di requisitorie e sentenze.
Il diritto di dissentire da requisitorie e sentenze
Anche quello dell’esecutivo, dei suoi ministri e di chi lo guida, è un diritto costituzionale. È corretto – talvolta doveroso – che il presidente del Consiglio, il quale gode del consenso popolare e della fiducia del Parlamento, esprima dissenso verso uno o più atti, di uno o più magistrati. È un bilanciamento di quell’altra autorità, straripante e strapotente: c’è un diritto di critica anche tra poteri dello Stato; aperto, trasparente, pubblico. E reciproco: senza, la nostra sarebbe una Repubblica Giudiziaria. Non lo è; non lo può diventare.