Notte magica, 24 mesi fa: dalle lacrime per la vittoria a Palazzo Chigi. Non li hanno visti arrivare (video)
Una vittoria tonda, costruita negli anni, dopo una lunga traversata nel deserto e una campagna elettorale velenosa, giocata dalle sinistre sul pericolo nero e l’incubo di una riedizione del Ventennio. Una chiamata alle armi che, urne alla mano, si rivelerà un boomerang. Dall’1,9 % del 2013, quando Fratelli d’Italia muoveva i primi passi, appena uscita dalla Casa delle libertà (pochi deputati e nessun senatore), al 26,08 che ne fa il primo partito d’Italia. L’esito del voto del 25 settembre di due anni fa, seguito in diretta dal popolo della destra, è uno tsunami. All’hotel Parco dei Principi (quartiere Parioli), dove si assiste allo spoglio, quella notta segna l’inizio di un’epoca. A tutti sembra, con accenti diversi, che ‘nulla sarà più come prima’.
La notte magica all’Hotel Parco dei Principe e le lacrime dei militanti
Arrivano i primi exit poll, poi le proiezioni ancora scarne e non affidabili. La scaramanzia è d’obbligo. Ma i numeri sono confermati via via con una forbice che va dal 26% al 30%, dirigenti e big rilasciano timide dichiarazioni in un via vai impazzito di giornalisti e inviati esteri. Alla fine la rincorsa si chiude al 26,8%. “Un miracolo italiano“, dirà quasi all’alba Giorgia Meloni, premier in pectore, occhi lucidi, acclamata dai militanti sotto al palco che si abbracciano e piangono sulle note di Rino Gaetano. Oggi con un tweet tira le prime somme. “Due anni fa milioni di italiani hanno riposto in Fratelli d’Italia e nel centrodestra la loro fiducia. Oggi, come allora, sentiamo la stessa responsabilità sulle nostre spalle. Non abbiamo mai smesso di ascoltare, di agire, di combattere per difendere i valori in cui crediamo e per mantenere le promesse fatte. Non tradiremo la vostra fiducia”.
Un miracolo italiano per un partito senza padrini
Un miracolo italiano “per un partito senza padrini né finanziatori occulti”, diceva Giorgia quella notte di due anni fa. Fratelli d’Italia è il primo partito della nazione, può esprimere il presidente del Consiglio e dare le carte dopo un cammino accidentato. È un nuovo inizio: la destra entra a Palazzo Chigi dalla porta principale, non come alleata scalpitante del Cavaliere. Non più sdoganata da Berlusconi, ma incoronata dal voto popolare. Un capriccio della storia, come disse un dirigente storico. E questo fa la differenza. Anche nei titoli del giorno dopo, nella disamine degli analisti, nelle reazioni incredule (e acide) degli avversari. Che iniziano una crociata ossessiva contro il pericolo che si aggira per l’Italia e l’Europa, l’inevitabile isolamento internazionale, la deriva autoritaria e plebiscitaria. La mostrificazione della destra meloniana però non darà i frutti sperati.
Meloni: è solo un punto di partenza, che dedico a chi non c’è più
“Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso, vi sorprenderete a fare l’impossibile”. È con la frase di San Francesco che Giorgia Meloni decide di concludere il suo intervento a braccio. “Questa è sicuramente per tante persone una notte di orgoglio e di riscatto. Una notte di lacrime, di abbracci, di sogni e di ricordi”, scandisce la futura premier parlando di una vittoria “che voglio dedicare alle persone che non ci sono più e che meritavano di vedere questa vittoria”. È la rivincita dal ghetto, dalla persecuzione ideologica, dagli attacchi di una sinistra autoreferenziale, con il complesso del migliore, che ha preteso per decenni di dare patenti di democrazia, relegando la destra italiana ai margini della storia, reietta e con un passato (dicono e insistono anche in queste ore) mai rinnegato davvero.
Vietato montarsi la testa, è il tempo della responsabilità
Niente feste di piazza e clacson, niente ubriacatura da vittoria, si sceglie un profilo basso. “È da domani che dobbiamo dimostrare il nostro valore. Questo è il tempo della responsabilità”. Vietato montarsi la testa. Da allora una lunga linea ininterrotta di istantanee impensabili: dal giuramento ai primi provvedimenti che segnano il passo della discontinuità, agli impegni internazionali assolti con il piglio di chi sa dove andare (“non sono ricattabile” sarà il leit motiv della premier). Che si impone ai tavoli di Bruxelles, porta Ursula von der Leyen a Caivano e poi a Lampedusa. Che gira il mondo a tempo di record e ovunque è un successo riconosciuto. Dall’Africa con il piano Mattei in tasca, agli Usa. Foto, video, reportage che mandano in tilt la sinistra, perché la prima premier donna della storia repubblicana seduce anche gli avversari. E poi modelli, come quello albanese, che fanno da apripista in Europa. I numeri confortanti sull’occupazione, il Pil, la timida ripresa economica, le ricognizioni sul calo degli sbarchi. E a poco valgono i gossip, gli attacchi personali, le favole sulla classe dirigente che non c’è, i fantocci bruciati, le pistole fumanti del Pd, il coro delle femministe, livide perché la destra “oscurantista” e patriarcale è approdata dove la sinistra non si è vista arrivare.