Lei ha detto no dopo 20 secondi, sindacalista assolto dall’accusa di violenza sessuale: le motivazioni della sentenza

17 Set 2024 18:58 - di Redazione
violenza sessuale

Venti secondi sono troppi per reagire a un tentativo di violenza sessuale. È questa è la tesi della Corte d’Appello di Milano, che ha confermato la sentenza del 2022 del tribunale di Busto Arsizio, che aveva assolto in primo grado un ex sindacalista della Cisl, finito al banco degli imputati con l’accusa mossa da una hostess che si era rivolta a lui per una vertenza, nel 2018, quando l’uomo era in servizio all’aeroporto di Malpensa. Ebbene oggi sono uscite le motivazioni della sentenza che la Corte d’Appello di Milano ha depositato. E con cui lo scorso giugno ha confermato l’assoluzione per l’uomo finito a processo per violenza sessuale. E così si riapre il dibattito sulle ragioni e sui tempi concessi per legge a una donna per sottrarsi a quello che ritiene un abuso…

Milano, ex sindacalista assolto da accusa di violenza sessuale su una hostess: le motivazioni della sentenza

La donna ha detto “no” dopo venti secondi: una finestra di tempo considerata troppo ampia per condannare l’uomo. Secondo i giudici quei 20 secondi di attesa prima della reazione non sono sufficienti a corroborare la prova del dissenso della hostess. Non solo. Perché dal processo, che scagiona l’imputato, e di cui tra gli altri il Tgcom24 riporta alcuni stralci, emergerebbe «come l’imputato non abbia adoperato alcuna forma di violenza – ancorché si sia trattato, effettivamente, di toccamenti repentini – tale da porre la persona offesa in una situazione di assoluta impossibilità di sottrarsi alla condotta».

«Lei ha detto no solo dopo 20 secondi»: come si spiega il verdetto

Da quanto si legge nelle carte, allora, quella dell’imputato sarebbe stata una condotta che «non ha (senz’altro) vanificato ogni possibile reazione della parte offesa, essendosi protratta per una finestra temporale» di appunto «20-30 secondi». Un lasso di tempo, a detta del verdetto di cui oggi sono state depositate le motivazioni, che avrebbe consentito alla vittima che ha sporto denuncia «anche di potersi dileguare».

Violenza sessuale, hostess vs sindacalista: l’ultima parola passa alla Cassazione?

«Faremo ricorso in Cassazione – aveva commentato a caldo alla pronuncia della sentenza Teresa Manente, responsabile dell’ufficio legale dell’associazione Differenza Donna, cui la donna si era rivolta – perché questa sentenza ci riporta indietro di 30 anni e rinnega tutta la giurisprudenza di Cassazione che da oltre dieci anni afferma che un atto sessuale, compiuto in maniera repentina, subdola, improvvisa, senza accertarsi del consenso della donna, è reato di violenza sessuale. E come tale va giudicato». Ma tant’è, e dopo la sentenza di primo grado che aveva fatto discutere è arrivato il verdetto d’appello che rinfocola le polemiche e le recriminazioni. Intanto però la sentenza di assoluzione è stata confermata. E oggi le motivazioni ne spiegano il perché.

Il dibattito (e le recriminazioni) tra accusa e difesa

E alla luce delle emanazioni della legge e delle spiegazioni della sentenza della Corte d’Appello, resta sul tavolo della discussione l’argomentazione mossa dalla difesa della donna. Che ha puntato tutto sulla «irrilevanza della reazione tardiva» della vittima. Sulla «posizione di preminenza dell’imputato, desumibile dalla sua qualifica di sindacalista». Infine sull’«insussistenza del consenso». Sì, perché sono questi i punti che aveva valorizzato la Procura di Busto Arsizio (Varese) nel chiedere di ribaltare la sentenza di primo grado. Un verdetto con cui l’imputato era stato assolto «perché il fatto non sussiste». Sentenza confermata dalla Corte d’Appello milanese. In mezzo, tra le due posizioni, quei 20-30 secondi, contestati come abusi dai pm: «Il dissenso della vittima non fu né esplicitato né manifestato per fatti concludenti, chiaramente indicativi di una contraria volontà».

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