L’Autonomia contro i piagnoni di professione: il problema del Sud non sono i soldi, ma come usarli
Stato, latino status, da sto, consisto, è una parola politica, e significa situazione di potere e mantenimento dell’ordine e guida di un popolo. Ed è antica dialettica se lo Stato crei la Nazione, o la Nazione crei lo Stato. Non c’è, tuttavia, una sola forma statuale, bensì la storia ce ne mostra una grande varietà: monarchie e repubbliche… e monarchie assolute e costituzionali e democratiche come ci sono anche repubbliche tiranniche; e Stati unitari centralisti e Stati confederali e federali… e tutte queste cose miste.
Un esempio? L’India dei secoli XVIII e XIX, dove tutti veneravano un imperatore senza potere, e tra questi tutti c’era una società commerciale di azionisti britannici e indigeni. E persino l’Impero Romano, che non tollerava ribellioni, lasciava, secondo i casi, ampie autonomie. Mi fermo, solo ricordando che sono federali la Germania, l’Austria, gli Usa, dove, come vediamo nei film, se uno del Texas svicola in Arizona, devono chiedere l’estradizione come se scappasse in Norvegia. E c’erano Stati centralisti che stanno diventando sempre più federali, come la Spagna e il Belgio, e persino la Francia, inventrice della giacobina e bonapartista Nation une et indivisible. Il concetto è giacobino, infatti, però trova solidi precedenti in Luigi XIV, che ridusse i feudatari a elementi decorativi sostituendoli con gli intendenti burocratici; e conseguenze in Napoleone, se nella sua tomba barocca spacciata per neoclassica si legge, secondo loro a sua gloria, Centralisation administrative.
Credo basti a dimostrare che l’attuale assetto statale italiano, quello del 1861, non è il migliore dei mondi possibili, o quanto meno non è l’unico, ma solo un’eventualità creata allora dalle circostanze e che per altre circostanze potrebbe essere modificata. Insegna il Vico che “i governi devono essere conformi alla natura dei popoli”. Qualcuno, e non solo all’opposizione, teme per l’unità nazionale; ebbene, da un punto di vista giuridico, e anche effettuale, gli Stati federali e confederali che funzionano non sono certo deboli, al contrario detengono un’autorità centrale molto forte, nei campi in cui l’autorità è necessaria e utile. Non sono, per capirci, come l’Unione europea che, se basta l’esempio, non ha minimamente una politica estera, però misura a millimetri i contenitori delle ricottine; anzi, gli Stati forti lasciano le ricotte ai pecorai di ogni singolo luogo, e detengono un saldo potere centrale in ciò che davvero conta.
A dimostrazione, la Cecoslovacchia non era certo federale quando si dissolse, in modo un tantino agitato nel 1938, e invece mentre tutti dormivamo sereni, in una notte del 1992; e il sole continuò a sorgere e tramontare sulle belle città di Bratislava e Praga. Uno Stato (latino “status”) vive finché “stat”, cioè si regge; e quando non sta più, sparisce, o diventa altra cosa.
Del resto, anche in questa Italia così rigidamente unitaria, la Sicilia ha un’autonomia datata 1946 e firmata da Umberto luogotenente e re; seguirono Aosta, Friuli, Sardegna; e persino il Trentino – Alto Adige si è sciolto in due province. Che funzionino o meno queste entità autonome, è uguale a quanto accade in quelle “ordinarie”: cioè, sì e no caso per caso. Che le istituzioni funzionino a prescindere dai casi e dalle persone, è una vecchia illusione dei tempi di Licurgo e di Solone, ma la cosa non trova riscontro nei fatti storici, e tanto meno nelle quotidiane cronache.
Concludo rinnovando, e sperando qualcuno risponda, la proposta di Regione Ausonia, con Molise, Puglia, Basilicata, Campania, Calabria: 62.000 kmq, quasi 12 milioni di anime. Ausonia avrebbe la consistenza per affrontare con successo la novità “traumatica”, l’autonomia. E, con buona probabilità, mostrerebbe un netto miglioramento della finora non certo eccellente qualità di politici e funzionari. Tantissimi i vantaggi di analisi e progettazione; ma, per restare nel tema politico, ora me ne basta uno: una netta scrematura del numero dei consiglieri regionali e passacarte vari. Dovrebbe dotarsi di istituzioni sue, Ausonia, non scopiazzate da Roma; e se, sperimentate, non vanno bene, cambiarle.
Il problema del Meridione non sono i quattrini bruti. Se contassimo quanti soldi ha ricevuto dai tempi della Cassa a oggi da Italia ed Europa, la mia Calabria dovrebbe essere lastricata d’oro con lapislazzuli; e invece è, ufficialmente (con riserva!), l’ultima delle Regioni europee. Il problema del Sud è come utilizzare i soldi: quindi è una questione politica, di idee politiche, di volontà politica e di classe politica, e di funzionari seri e fattivi; alla fine, una questione di cultura. A proposito: la cultura non è né piatta erudizione né titolo di studio; la cultura inizia quando uno dubita di quello che sa. Coraggio: il meglio della letteratura e dell’arte italiane non aveva la laurea.
C’è un problema di cultura meridionale, da sottrarre ai sognatori di ciò che mai fu e mai sarà; e ai piagnoni di lauta professione; e far sì che si recuperi la storia, quindi la conoscenza effettuale del passato e la progettazione possibile del presente e dell’avvenire. La storia? Ausonia corrisponde, grosso modo, a quello che dal 1282 al 1816 chiamavano il Reame. Ma di questo, se mai, un’altra volta.