Omicidio Sharon, sul killer (e il dibattito sulla sua nazionalità) Vannacci spariglia le carte della sinistra

31 Ago 2024 18:20 - di Chiara Volpi
killer Sharon Vannacci

Il caso dell’omicidio di Sharon, e le disquisizioni sul killer – con relativo dibattito sulla sua nazionalità – scatena la sinistra e i suoi aedi a caccia di untori. Ma nel dibattito in cerca di vie di fuga politicamente corrette, interviene il generale Vannacci e spariglia le carte della sinistra. Vediamo come. E partiamo da quando la Procura di Bergamo ha rivelato identità, animo – e modus operandi – del killer di Sharon, e il concetto di femminicidio – riveduto e corretto rispetto al caso Cecchettin che ha scomodato disquisizioni su patriarcato e mascolinità soverchiante occultata sotto le mentite spoglie di un innocente studente – acquisisce nuovi connotati. Lineamenti psicologici, antropologici e sociologici, dettati dal “politicamente corretto” e dal dibattito perennemente in corso su Ius soli e nazionalità de facto degli stranieri che vivono in Italia. Due dei quali, peraltro, con la loro testimonianza hanno fornito un contributo utilissimo alle indagini.

Omicidio Sharon, nel dibattito sul killer interviene Vannacci

Un punto su cui Roberto Vannacci, dopo gli ultimi sviluppi dell’indagine che ha portato al fermo del presunto assassino della barista 33enne a Terno d’Isola, ha sparigliato le carte mandando in tilt la sinistra, asserendo con nettezza: «La vicenda dei testimoni nel delitto» di Sharon Verzeni «rappresenta un esempio significativo di immigrazione regolare che ha portato a una virtuosa integrazione nella società italiana», ha sostenuto con l’AdnKronos il generale in forza alla Lega, dopo gli ultimi sviluppi dell’indagine che hanno portato al fermo del presunto assassino della barista 33enne a Terno d’Isola.

Killer di Sharon, se il generale Vannacci spariglia le carte della sinistra

«Questi due giovani, di origini marocchine ma cresciuti in Italia e divenuti cittadini italiani in età adulta, incarnano perfettamente i valori di un’immigrazione che segue i canali legali e che, proprio per questo, si traduce in un’integrazione positiva e costruttiva», ha sottolineato il generale, asfaltando chi da lui si aspettava recriminazioni e argomentazioni fuori contesto. «Essi lavorano, praticano sport e conducono una vita normale, partecipando attivamente alla comunità italiana. La loro decisione di fornire una testimonianza decisiva alle autorità, non solo ha aiutato a risolvere un grave crimine. Ma ha anche evidenziato come l’immigrazione regolare e la naturalizzazione a seguito di un percorso congruo e pesato possa portare a un inserimento armonioso e produttivo nella società», ha rilanciato Vannacci.

«Questi giovani sono un esempio concreto di come si possano costruire identità integrate»

E le carte sul tavolo del gioco del politically correct restano nelle mani dei detrattori dem, buonisti a corrente alternata e pronti all’attacco indiscriminato, che in questa mano della partita si ritrovano a dover saltare un giro, e con il jolly dell’accusa discriminatoria rimasto nella manica per un asso calato senza preavviso. «Questi giovani sono un esempio concreto di come, attraverso percorsi regolari di immigrazione e l’ottenimento della cittadinanza conquistata con l’accettazione dei principi e della cultura del Paese ospite, si possano costruire identità integrate, in cui il rispetto delle leggi e il contributo fattivo alla comunità siano al centro», è il ragionamento dell’eurodeputato della Lega. «La loro storia dimostra che, quando l’immigrazione avviene in modo ordinato e secondo le regole, i risultati possono essere estremamente positivi. Contribuendo non solo alla crescita personale degli individui coinvolti. Ma anche al rafforzamento del tessuto sociale e culturale del nostro Paese».

«La storia di questi due testimoni offre un importante promemoria»

Non solo. «In un periodo in cui il tema dell’immigrazione è spesso oggetto di dibattito acceso, la storia di questi due testimoni offre un importante promemoria: l’immigrazione regolare e l’integrazione sono possibili e possono essere una risorsa preziosa per tutti, se gestite con intelligenza, pragmatismo e umanità», ha concluso Vannacci. Sì, perché in questa forsennata corsa della sinistra ad affannarsi a precisare subito che l’assassino di Terno d’Isola era un italiano, con l’emersione solo successiva della sua origine straniera, si ferma contro il muro delle dichiarazioni del generale.

Affermazioni che, con senno di poi, delegittimano anche la maratona ingaggiata tra i primi dall’esponente Avs Luana Zanella, già ieri pronta a stigmatizzare e impugnare il post salviniano sugli sviluppi giudiziari della vicenda Verzeni.

La caccia all’untore scatenata da Avs

Quando la capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, sentenziando sulle parole postate su Facebook dal leader della Lega, Matteo Salvini, immediatamente scatenava la caccia all’untore. Come? Ma semplicemente postando: «Ovviamente Matteo Salvini ha già sentenziato la colpevolezza di Moussa Sangare, chiedendo una pena esemplare. Cioè potenziata? Ciò che è orribile nel suo post è il tentativo di accreditare una origine etnica del femminicidio»…

Identità e nazionalità del killer di Sharon al centro del dibattito

E allora chiariamo subito: omicidi efferati e gratuiti possono essere commessi sia da italiani, sia da stranieri, come da cittadini di seconda generazione. E non è certo il possesso di un passaporto, o la tempistica più o meno recente dell’acquisizione della cittadinanza, a rappresentare una garanzia sulla affidabilità di una persona o – al contrario – credenziali o meno sulla sua inclinazione a delinquere. Tuttavia, la notizia della scoperta dell’identità del killer di Sharon Verzeni è diventata oggetto di discussione e di polemica politica.

Con tutto il corollario di argomentazioni – e speculazioni – sorte intorno alla possibilità che il killiar possa essere – o meno – una persona con disturbi psichici, che avrebbe agito sull’onda di un raptus. Un po’ più di quanto accaduto con Impagnatiello e Turetta, due giovani italiani. Insomma, una connotazione razziale della vicenda c’è, e non possiamo negarla a priori, nascondendoci dietro un dito.

Killer di Sharon, dopo Vannacci l’intervento di Antoniozzi su vicenda giudiziaria e dibattito

E allora sul nodo nevralgico di questa vicenda di dolore e morte, che si attorciglia intorno a questioni secondarie rispetto al fatto che una giovane donna è stata uccisa senza un perché, da un assassino che dopo lo scempio perpetrato, si è concesso una grigliata con gli amici, offre sul piatto delle discussione in corso argomenti a iosa. Compresi quelli portati sul vassoio d’argento del dibattito in corso da Alfredo Antoniozzi. Il vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, che facendo il punto sull’intera vicenda, ha asserito: «L’assassino di Sharon non è matto e dobbiamo finirla con questa litania rituale».

«Non giudico gli assassini in base alla loro provenienza»

E ancora. «Non sappiamo ancora bene la dinamica dei fatti – ha aggiunto Antoniozzi – ma questa cosa del raptus non ha alcun senso e non esiste nella psicopatologia forense. Non esistono i raptus, semmai potrebbero esistere le voci imperative, cosa da escludere categoricamente nella fattispecie». Concludendo emblematicamente:  «Non faccio polemiche sulla sua etnia perché al di là del fatto che è italiano – ha concluso Antoniozzi – non giudico gli assassini in base alla loro provenienza. Né invoco chiaramente la tagliola per lui. Ma le punizioni che il nostro codice penale prevede». Punto e fine.

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