Oggi che dai bilanci 2023 del Pd si segnala che la Fondazione Eyu ha concluso il suo percorso di liquidazione, il partito della Schlein ha deciso di puntare su un’altra creata su iniziativa di Nicola Zingaretti ma con lottizzazione della segretaria, la Fondazione Demo. “Dallo scorso luglio, e cioé da quando la segretaria ha nominato presidente di quest’organismo Nicola Zingaretti, ovvero colui che questa fondazione l’aveva creata quattro anni prima, s’è capito quale potesse essere la parabola. Non è che ci finiscono dentro tutti i vecchi arnesi delle correnti, si chiedeva qualche malpensante la scorsa estate. D’amblé, quando erano passati alcuni mesi dall’elezione al Nazareno, Schlein scelse di disfarsi di Gianni Cuperlo, che fino a quel momento aveva presieduto la fondazione. E chi decise d’incaricare del ruolo la segretaria se non l’ex presidente della Regione Lazio, uno dei suoi predecessori al Nazareno, che per puro caso era stato anche uno dei suoi primissimi sponsor alle primarie di qualche mese prima? Della fondazione non s’è saputo più niente per mesi, da quel giorno di luglio in cui la segretaria, con accanto Zingaretti, annunciò che avrebbe cambiato nome. ‘Propongo che si chiami Fondazione Demo’. E in effetti è forse solo il cambio d’appellativo l’unica attività degna di rilevanza di quest’ente che in realtà non è ancora stato formalmente costituito come fondazione. E che però, per l’appunto, si propone di costruire nuovi modelli di sviluppo e dare alle giovani generazioni nuove speranze. Mica pizza e fichi”, ironizzava solo qualche mese fa Il Foglio.
La destra difende la memoria (e i suoi caduti): la sinistra ha svenduto sedi, giornali e storia del Pci
Lì dove c’era la scrivania di Palmiro Togliatti, oggi sta nascendo una sala benessere per uomini senza baffi alla Lenin e donne senza tupè alla Nilde Iotti, figure molto popolari qualche decina di anni fa a Botteghe Oscure, storica sede del Pci attualmente cantiere per un hotel a 5 stelle di un noto marchio internazionale che furbescamente ha già annunciato di voler rimediare alla faciloneria con la quale la classe dirigente dei Dem prima e del Pd ha mollato la memoria storica di quel palazzone che ha segnato la storia della sinistra italiana: tra le parti che saranno valorizzate nel resort per ricconi, ci sarà infatti l’androne disegnato da Giò Pomodoro con la stella d’oro a cinque punte incassata nel pavimento, il busto di Antonio Gramsci incastonato nel marmo della parete e la Bandiera della Comune di Parigi esposta in una teca. Roba per turisti, certo, ma almeno quei simboli di milioni di comunisti italiani non finiranno nella discarica di Malagrotta.
La Fondazione An e le fondazioni dell’arcipelago di sinistra
E che dire della storica sede della Democrazia Cristiana, partito morto nel 1994 ma che in quel palazzo di Piazza del Gesù 46 ha scritto la storia italiana, nel bene e nel male? Oggi è una specie di centro direzionale: uffici, studi legali, sedi di rappresentanza. Ma nulla sanno, i tanti impiegati che ogni giorni fanno ingresso in quel palazzo, del famoso “ascensore degli accordi”, molto piccolo, che veniva spesso utilizzato per brevi incontri riservati tra i leader del partito. In quello spazio angusto, lontano da occhi e orecchie indiscrete, si dice che siano stati presi accordi cruciali e si siano strette alleanze politiche decisive per la storia italiana.
Questa è storia, questa è politica, questa è memoria.
Esattamente quella che ancora oggi, a destra, la Fondazione An si pone di tutelare, anche attraverso l’acquisizione di una sede missina come quella di Acca Larentia, senza alcun appeal commerciale o economico, ma con un immenso portato di ricordi, passioni politiche, dolore e condivisione di una comunità che ancora oggi si ritrova nei suoi martiri, i tre ragazzi ammazzati dal nemico anonimo nel 1978. Una mission, quello della tutela dell’identità, della cultura e della memoria di destra, indicata nello Statuto e portata avanti, negli anni, nonostante le strumentalizzazioni politiche, proprio come quella relativa al contributo dato dalla Fondazione An per l’acquisto (dall’Inail) e la tutela di quello spazio così caro ai militanti storici, missini compresi.
La svendita di Botteghe Oscure e dell’Unità
Mentre a sinistra, il “patrimonio” da tutelare coincide in gran parte, ancora oggi, con quello finanziario e immobiliare, vista la chiusura di centinaia di sezioni del vecchio Pci, la svendita del “Bottegone” e del quotidiano fondato da Gramsci, “L’Unità“, a destra – che piaccia o no – si guarda ancora ai simboli, anche ai palazzi, certo. La sede di via della Scrofa, per esempio, oggi è l’unico quartiere generale di una comunità politica – rappresentata nelle sue varie anime nel Cda della Fondazione – e dell’unico partito che – nelle sue diverse evoluzioni, da An a FdI – è riuscito a superare indenne il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica.
E a sinistra? «Alla fine di tutto il percorso di ristrutturazione del debito, dopo il sacrificio di palazzi come Botteghe Oscure, facemmo un censimento dei beni immobili. Erano 2.399 in totale, tra appartamenti, magazzini, garage. Tutto compreso», spiegò qualche anno fa lo storico tesoriere del Pci, dei Dem e del Pd, Ugo Sposetti. Che per la gestione degli immobili (e dei debiti) creò una ragnatela di 67 fondazioni che si unirono in tutta Italia nell’associazione Enrico Berlinguer, fondazioni locali che diventarono proprietarie di tutti i beni del Pci, immobili (terreni e fabbricati) per quasi 7 milioni e mezzo di euro. Fondazioni che non hanno scopo di lucro, ma che si sono dotate di società di gestione immobiliare che – quelle sì! – hanno lo scopo di lucro, come ricordò, nel 2007, nel “Il Tesoriere”, il giornalista Mauro Agostini: “I Ds avevano proceduto alla costituzione delle famose fondazioni per le proprietà immobiliari che, anche per l’opacità del percorso seguito, determinavano una sostanziale ‘privatizzazione’ di un patrimonio che era frutto del sacrificio di molte generazioni di militanti”.
La ragnatela delle fondazioni che fanno capo al Pd
“Le fondazioni del Pd sono 67 in tutta Italia, e sono state usate dai Ds per schermare un miliardo di beni del vecchio Pci durante la fusione con la Margherita. Contano in totale tremila immobili da gestire. Ma i bilanci sono quasi ovunque in perdita”, ha scritto in un’inchiesta per l’Espresso, nel 2023, il giornalista “anticasta” Sergio Rizzo. “Molti bilanci sono in perdita strutturale, compromettendo anche l’attività culturale che queste fondazioni dovrebbero promuovere con i proventi degli affitti. Prendiamo l’Immobiliare Porta Castello di Bologna, controllata dalla Fondazione Duemila. Ha 52 immobili, per un valore di bilancio di 18 milioni. Incassa 800 mila euro dagli affitti ma ha 3,7 milioni di debiti e nel 2022 ha perso la bellezza di 1,3 milioni”, era scritto in quell’articolo.
Molti dei locali di proprietà delle fondazioni Ds sono circoli del Pd, che paga l’affitto basso a una società immobiliare. La politica? Non c’è più.
La tutela della memoria, certo, ma prima della poltrona, a sinistra.