Uno straordinario D’Annunzio inedito: “Cara Melitta, sono vecchio e catarroso ma innamorato”

16 Lug 2024 13:15 - di Monica Pucci

“Cara e lamentosa Melitta, tutto si sa del Comandante e voi non sapete che io sono malato da alcuni giorni, per esser rimasto più ore a capo scoperto e leggermente vestito sotto la dirotta pioggia! Così sono vecio, catarroso, moccioso, e di nerissimo umore! Da più sere desidero di rivedervi; ma il pudore senile mi ritiene. Non credo alle vostre tristezze. Non avete mai compreso quanto addentro eravate nel mio cuore e, ahimé, ne’ miei sensi”. Così scriveva, in una lettera inedita, il 16 maggio 1924 il sessantenne Gabriele d’Annunzio (1863-1938) a Letizia De Felici, da lui soprannominata Melitta, conosciuta durante l’impresa di Fiume, frequentata assiduamente per la sua attività – era, con altri membri della sua famiglia, fornitrice del Vate per quanto riguardava il suo inesauribile guardaroba – e infine, data anche la sua abitazione a Gardone, ampiamente “richiamata in servizio”, sino all’inizio degli anni Trenta, nelle ‘magiche’ notti del Vittoriale.

Le lettere inedite di Gabriele d’Annunzio

La lettera, anticipata in esclusiva dall’Adnkronos, fa parte delle oltre 700 missive sconosciute dello scrittore e poeta a vari destinatari presenti nella Collezione Paglieri, la più grande raccolta dannunziana privata in Italia, recentemente acquistata dalla Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, presieduta da Giordano Bruno Guerri, che custodisce la casa-museo di d’Annunzio a Gardone Riviera (Brescia).

La raccolta di migliaia di documenti dannunziani, che consente di ricostruire la biografia completa dell’autore di “Il piacere” e la storia del Vittoriale, fu assemblata prima da Lodovico Paglieri e poi dal figlio Mario, imprenditori alessandrini dell’azienda di profumi Paglieri, nota fin dal 1923 per il marchio di successo Acqua di Colonia Felce Azzurra.

Scriveva ancora Gabriele d’Annunzio all’amata donna: “Un non bello episodio vi tenne lontana quasi due anni. Tornaste da Roma dopo quattro mesi, con tagliati i capelli che amavo. Ora mi annunziate un’altra assenza, fino a settembre. O Fiuggi! O Lete! A me giova non legarmi di nuovo, per non inscrivere su un altro vasellame d’argento: Tristitia Laetitia – Laetitia Tristitia. E, quando ci ritroviamo, si forma un profondo accordo, che rare volte conobbi nella mia lunga vita voluttuosa – voglio dimenticarvi. La volgare acqua di Fiuggi sarà, per una volta, l’acqua immemore del Lete! Spero che domani starò meglio; e ch’io possa pregarvi di salire. E questo inverno intempestivo è per me una specie di irosa agonia, che aumenta le mie pene”.

La storia d’amore con Letizia De Felici

Il rapporto sentimentale con Letizia De Felici andò avanti per molti anni e quando lo scrittore era sulla soglia dei 70 anni, così le scriveva il 12 giugno 1932 in un’altra delle tante lettere inedite, sempre anticipata dall’Adnkronos: “Cara cara Meli, io sono stato sempre poco bene, invisibile a ogni specie di gente: sospetta e non sospetta: per ciò puro, e incolpevole anche dinanzi alla più fiera patassione. Ma, tra le malinconie, quella suscitata da te è la più penosa. Tu non puoi seguitare a vivere come vivi: continuamente sospesa a un amore artificiale e continuamente intesa ad afferrare l’inafferrabile. Io abòmino – dalla nascita – ogni specie di servaggio. Anche l’obbligo di dare notizie o di compiere gli amorosi doveri è per me un servaggio che abòmino. Perdonami. Io parlo chiaro e brusco perché ti amo, e perché voglio evitare ogni compromissione vile o conclusione ignobile.

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