Uccise la moglie, la corte di Assise di Milano: “Donna non denunciò perché condizionata da patriarcato arabo”
Il patriarcato esiste in Italia ma è quello arabo, mondo verso il quale la sinistra non nasconde le sue simpatie. E il patriarcato islamico può uccidere, com’è successo a Milano, e soggiogare una donna costringendola a non denunciare. Lo scrive la Corte d’Assise di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 27 giugno, ha condannato all’ergastolo per omicidio volontario, anche con l’aggravante dei maltrattamenti, Bouchaib Sidki, 61enne che il 30 novembre del 2022 uccise a coltellate la moglie, Wafaa Chrakoua di 51anni, nella loro casa in via Lope de Vega. La Corte ha anche censurato nella sentenza le archiviazioni che la procura effettuò relativamente ai maltrattamenti subiti dalla donna parlando di vero e propria subordinazione culturale nei confronti del marito.
“Il patriarcato islamico e le omissioni della Procura”
E’ “irrilevante” che la donna “non abbia mai trovato la forza di denunciare il marito o di recarsi in ospedale”, anche “per il condizionamento culturale che le impediva di separarsi” da lui. Come non “ha valore di giudicato” l’archiviazione del procedimento per maltrattamenti che fu aperto d’ufficio dopo tre “annotazioni” del 2015, 2019 e 2021. Si legge così nella motivazione della sentenza di ergastolo della Corte di assise di Milano. I quattro figli, assistiti come parti civili nel processo dagli avvocati Raffaella Quintana e Alberto Angeloni, spesso “si precipitavano a chiamare le forze dell’ordine”. La donna, però, non aveva mai voluto denunciare il marito anche “per il timore di un intervento dei servizi sociali e di un allontanamento dei figli”. I giudici, comunque, fanno presente che per i maltrattamenti si può procedere d’ufficio, proprio per la “paura” che spesso impedisce “di denunciare” in un mondo culturalmente particolare qual è quello islamico.
“Un uomo privo di scrupoli”
La Corte nelle motivazioni mette in luce la “totale assenza di resipiscenza ed elaborazione critica” da parte dell’imputato, che nel processo ha pure “tentato in modo grossolano di attenuare le proprie responsabilità, riconducendo il fatto ad un mero ‘scherzo’ e ad un ‘incidente'”. Lui che – scrivono i giudici ricostruendo ciò che subì la moglie negli anni – aveva sempre l’atteggiamento “di chi vuole mantenere il controllo sulla donna”. E “teneva l’intera famiglia in una condizione di grave indigenza e privazione economica”.