L’ultima cena dell’Occidente woke. Così le élite hanno gettato nella Senna la Francia eterna
Patrick Boucheron, lo storico a la page della Francia esagerata e incomprensibile dell’era Macron, consulente della sfilata lungo la Senna, ci aveva avvisati: “Un felice bordello, ecco cosa spero vedrà il mondo della Francia”. Aveva ragione, se non fosse che il bordello andato in onda in mondovisione, sotto la regia di Thomas Jolly, era tutt’altro che felice, come spesso accade nei tristissimi luoghi collettivi del sesso a pagamento. La cerimonia d’inaugurazione dei Giochi Olimpici di Parigi ha voluto sfidare i cliché e ha finito col buttare nella Senna tutto, compreso il culto della bellezza che i cugini d’Oltralpe ci hanno sempre sbattuto in faccia con sciovinista alterigia, dall’alta moda all’arte, fino alla disturbante perfezione dei loro vigneron di Bordeaux, Borgogna o Champagne. Lo hanno fatto nel peggiore dei modi, cioè nella convinzione di aver fornito al mondo una dimostrazione di coraggio, di anticonformismo, di dissacrante modernità, fra lustrini e paillettes appiccicate addosso a personaggi usciti fuori da una lavatrice woke con la centrifuga a mille giri.
Hanno messo in soffitta lo stadio olimpico come palcoscenico d’elezione, quello nel quale lo spirito olimpico imponeva ai registi delle cerimonie d’apertura di rappresentare in uno spazio ristretto e carico di simbologia la capacità di una Nazione di diventare protagonista per quasi tre settimane, di presentarsi al mondo, di accoglierlo, di raccontarsi. Abbiamo ancora negli occhi cerimonie indimenticabili per le quali abbiamo sfidato il fuso orario, la nonna di Jesse Owens, a proposito di simboli e anticonformismo, che porta la fiaccola in mezzo al bianco totale del dress code di Los Angeles 1984; oppure l’emozione di Atene 2004, con la modernissima rappresentazione della civiltà greca e della storia dei Giochi, o le cerimonie di Sidney 2000 e Rio 2016, nelle quali il concetto di popolo è stato magistralmente descritto come la risultante di stratificazioni e contaminazioni.
I Francesi, giusto per far capire che lo sport non fosse la loro preoccupazione principale, hanno scelto la Senna per la “sfilata”, lasciando agli atleti e alle atlete un ruolo da crocieristi di passaggio, confinati sulle loro barchette a salutare e fare foto, senza che restassero lì, come negli stadi, per ergersi a veri protagonisti di una Olimpiade. Nel frattempo vero protagonista è diventato un bordello, appunto, uno dei tanti, comprensibile solo alle élite pensose e morbose di questa Europa, e forse neppure a loro. Il resto del mondo guardava senza capire, quasi disturbato. Un minestrone senza ritmo, senza gusto, senza il caos ordinato dei colori di un minestrone, con l’unica preoccupazione di lanciare presunti messaggi di inclusività, di modernità, di rispetto delle diversità. Senza riuscirci, ovviamente.
Zero sport, zero valori universali, zero identità: quale Francia pensano di aver raccontato al pianeta gli sciagurati artefici di questo polpettone irriguardoso e mal realizzato, piegato, male, alle esigenze televisive e per nulla “popolare”, nella nobile accezione di questo termine? Quale Francia è finita negli spot che dovranno portare nella Capitale francese milioni di turisti nei prossimi anni? Ve lo diciamo noi: non basteranno i quintali di odio per la tradizione, l’identità e la bellezza, e la storia, a scardinare la storia rivoluzionaria e l’immagine della città del Louvre o delle cattedrali, della vista mozzafiato dell’Arc de Triomphe visto dai Campi Elisi, dei resti di una civiltà millenaria che ancora oggi attraggono milioni di visitatori, del tutto disinteressati alla pseudo rivoluzione dei costumi rappresentata come catartica.
Dalla Città del Bataclan, delle Cattedrali che bruciano e delle banlieu devastate dalla resa al disordine, avremmo potuto aspettarci un sussulto di orgoglio, con lo sport al centro di un messaggio universale fatto di valori, cultura, identità millenarie e contaminazioni frutto dell’incontro di migliaia di uomini e donne che, in nome dello sport, giocano la partita più importante della loro esistenza agonistica. E quando vincono piangono, davanti a una bandiera scossa dal vento mentre si issa sul pennone più alto, con un inno nazionale che li accomuna. Fatevene una ragione, perché lo spirito olimpico è anche e soprattutto questo. I Francesi delle élite intellettuali preferiscono il bordello a una grandeur morta e sepolta, persino quello della grottesca rappresentazione in chiave queer del Cenacolo di Leonardo: una inutile e gratuita offesa a uno dei simboli della tradizione cristiana, piazzata lì per ricordarci che le Cattedrali bruciano sempre per una ragione, anche quando sembra si tratti di un incidente.
É l’ultima cena dell’Occidente woke, l’ennesimo atto di resa di fronte a questo irrefrenabile desiderio di cancellare passato, presente e, ca va sans dire, futuro. Eppure dopo appena quarantotto ore nessuno si ricorda più di cosa sia accaduto lungo la Senna, quella della Lady Oscar dei cartoni animati. Un minuto dopo il carrozzone di Jolly gli indici di ascolto si alzano per le finali di tiro con l’arco o Taekwondo, per i sacrifici di questi meravigliosi atleti dei quali ci ricordiamo ogni quattro anni. Sono loro lo spirito olimpico.
Sono loro la bellezza assoluta della competizione, lo sono le loro lacrime, la loro gioia, persino la delusione cocente. Avrebbero potuto raccontarci questo lungo la Senna, indugiando sulle espressioni di stupore e fierezza, ma hanno preferito la decadente banalità del brutto. La storia li dimenticherà. Per fortuna.