L’intervista. Malgieri: “Con i todos caballeros contro Bardella la Francia rischia il caos civile, non solo politico”

2 Lug 2024 9:42 - di Annamaria Gravino
malgieri francia bardella

“In Francia non si può prescindere dalla destra, non la si può relegare al secondo posto, non si può continuare a farle la guerra delegittimandola a ogni occasione: i francesi hanno deciso liberamente di mandarla al potere, con una maggioranza consistentissima e contro tutto l’establishment di sinistra, di centro, dell’alta finanza e della bassa manovalanza politica. E il todos caballeros contro la novità di questo partito e di questo giovane uomo politico, Jordan Bardella, rappresenta un rischio terribile per il Paese, anche dal punto di vista civile”. Per Gennaro Malgieri, giornalista, già direttore del Secolo d’Italia e parlamentare e oggi membro, tra l’altro, del comitato scientifico della Fondazione Nazione Futura, l’elezione a premier di Bardella non solo è possibile, ma è in qualche modo necessaria. Se non accadesse, lo scenario sarebbe l’innesco di “un processo caotico all’interno non solo della politica, ma della società civile francese”.

Direttore, in questo primo turno il Rassemblement National ha perfino aumentato i consensi rispetto alle europee. Era prevedibile?

Assolutamente sì, perché la Francia da sette anni è sotto l’usbergo di un signore particolarmente arrogante, tanto è vero che lo chiamano il piccolo Jupiter, che non ne ha azzeccata una nei confronti di nessuna categoria. Iniziò con gli agricoltori e poi ha proseguito con i gilet gialli, i ferrovieri, i pensionati e non ha fatto una sola riforma. La Francia non è mai stata in uno stato di decadenza come quello attuale. Chi come me la frequenta lo vede a occhio nudo. Ora che sono cadute le pregiudiziali contro il partito della Le Pen, si sono aperte le porte a un cambiamento possibile e rigoroso. Così rigoroso che la Francia potrebbe avere il più giovane premier della storia non solo francese, ma europea.

È stato il fallimento del macronismo a far cadere le pregiudiziali?

Non solo. La situazione in Francia è cambiata gradualmente, sono almeno 20 anni che va avanti questa storia del lepenismo da continuare a demonizzare o da accettare nel circuito democratico. Ora in Francia sono arrivati al punto. Ma c’è arrivata la gente, che ha messo a confronto la proposta del Rn e prima ancora del Fn con quella della gauche, del centrismo – in questo caso macroniano – ma anche dell’ultimo periodo del gollismo.

La maggior parte degli osservatori presenta queste elezioni come una polarizzazione tra estrema destra ed estrema sinistra. È corretto parlare ancora di estrema destra per il Rassemblement National?

Nel modo più assoluto, no. Ci sono al suo interno molto uomini moderati, personalità che vengono da raggruppamenti intellettuali, lo stesso Ciotti che si è portato dietro più della metà dei Repubblicani non è soltanto un moderato, è un moderatissimo. Il Rassemblement ha davvero molte sfaccettature, ma tutte convergenti verso il bene comune della Francia, verso il ridare alla Francia un destino che non ha più da molto tempo. Dai tempi dell’ultimo presidente gollista, Sarkozy, che poi è finito com’è finito. Lì è svanito quell’allure di tipo gollista che teneva in piedi la Francia e dava almeno la parvenza di avere un futuro, un destino, un domani. Macron tutto questo se l’è giocato in una volta sola e l’ha perso.

Il fronte anti Rassemblement, secondo lei, è autenticamente preoccupato per quello che potrebbe accadere alla Francia con la destra al governo o cerca solo di resistere al cambiamento?

Cerca di resistere al cambiamento per conservare le posizioni acquisite. Ma è normale che Macron – un uomo dell’alta finanza, dell’alta borghesia, centrista a modo suo di un centrismo piuttosto indecifrabile – chieda a Mélenchon, il Che Guevara francese, di stare insieme? È solo il pretesto per resistere a un cambiamento che non sarebbe solo della Francia, ma di buona parte dell’Europa.

Lei crede che il voto in Francia avrà ripercussioni in Europa?

Io credo che prima o poi si arriverà alla costruzione di un’Europa confederale. Magari non in questa tornata, ma ci si arriverà. Sotto la guida di quei partiti politici che sono stati denominati prima populisti, poi sovranisti, poi conservatori. Ma io credo che ci sia solo un modo per definirli: si tratta di una destra nazionale solidarista, che ha molte sfaccettature, ma che, come in Francia, converge nella volontà di restituire un destino all’Europa. Non è più possibile un’Europa in cui solo alcuni si chiudono in una stanza per scegliere il presidente della Commissione e per lottizzare, dico lottizzare, le istituzioni senza tener contro del valore degli Stati, che si pesano e non si valutano in modo pregiudizialmente ideologico. Non può più esistere un’Europa con Stati di serie A e di serie B, tutti devono essere di serie A. L’Europa deve cercare una coesione che la sottragga da un lato al ricatto che viene da oriente, e mi riferisco a Russia e Cina, e dall’altro al ricatto che viene dagli Usa, che si trovano anche loro in una decadenza senza precedenti.

Tornando alla Francia, Bardella ce la farà?

Io penso che il 7 luglio 2024 la Francia avrà in Jordan Bardella il suo nuovo premier.  Anche se non raggiunge la maggioranza assoluta al voto, ce la può fare costruendola all’Assemblea nazionale. Poi si pone il problema della coabitazione con l’Eliseo, ma non è un inedito: nella Francia moderna ce ne sono state tre e tutte di buon livello. Se non avvenisse, si andrebbe incontro a un processo caotico all’interno della società francese, non solo della politica. Macron potrebbe essere tentato da nuove elezioni tra un anno, in modo da non far finire mai i giochi, ma l’unica cosa che dovrebbe fare oggi è dimettersi e indire nuove elezioni presidenziali.

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