Philippe Leroy è morto all’età di 93 anni. La vita avventurosa, non solo al cinema, dell’indimenticabile Yanez

2 Giu 2024 12:38 - di Redazione
Leroy

Il suo nome per il grande pubblico italiano è legato all’interpretazione che diede di Yanez de Gomera, il fedele amico portoghese del celebre pirata Sandokan la Tigre della Malesia, nello sceneggiato televisivo della Rai “Sandokan” (1976) di Sergio Sollima, e a quella di Leonardo nell’altrettanto celebre sceneggiato televisivo “La vita di Leonardo da Vinci” (1971) di Renato Castellani: l’attore francese Philippe Leroy è morto, dopo una lunga malattia, all’età di 93 anni a Roma, la sua città di adozione. Nel 1990 l’attore aveva sposato la giornalista Silvia Tortora, figlia del giornalista e conduttore televisivo Enzo, da cui ha avuto due figli, Philippe e Michelle, e che lo ha lasciato vedovo il 10 gennaio 2022. L’attore ha anche un’altra figlia da un precedente legame, l’attrice Philippine Leroy-Beaulieu.

Philippe Leroy è apparso in quasi 150 film

Dai cinespettatori italiani si era fatto apprezzato già come coprotagonista accanto a Rossana Podestà nei film “Sette uomini d’oro” (1965) e “Il grande colpo dei 7 uomini d’oro” (1966). Sul grande schermo l’attore ha saputo imporre, sia in ruoli di eroe sia in quelli negativi, infidi o crudeli, il suo personaggio di ‘duro’ dal fisico asciutto e atletico, dal volto scavato e dal carattere deciso. In mezzo secolo di carriera Leroy è apparso in quasi centocinquanta film (essenzialmente italiani), anche se spesso in parti di secondo piano, passando attraverso tutti i generi, dal peplum all’horror, dal thriller alla commedia. In tv il suo ruolo più recente è stato nella serie “Don Matteo” (2008-2009) con Terence Hill, nel ruolo del vescovo. Al cinema ha avuto un ultimo piccolo ruolo in “La notte è piccola per noi” (2019) diretto da Gianfrancesco Lazotti.

In Indocina ha combattuto a Dien-Bien Phu

Arrivò in Italia nel 1961, “esule” per motivi politici, scampato a mille battaglie, in Algeria e in Indocina, dove aveva combattuto a Dien-Bien-Phu: “All’epoca ero giovane e innamorato della bandiera, della mia patria che consideravo sacra, combattevo per la Francia in cui credevo molto più di oggi…”. Lo sport (paracadutismo, rugby, equitazione, navigazione off shore e altro…) è stata la sua grande passione insieme alla poesia, alla pittura e alla scultura. “Ho scoperto il paracadutismo a 56 anni suonati e oggi ho all’attivo più di 2mila lanci…”, disse in occasione del suo novantesimo compleanno. Era un cattolico praticante:  “Sono un cattolico, molto credente. Ho perso mia madre che avevo solo sei anni e al collo da allora porto una medaglietta raffigurante la Vergine Maria: Lei mi ha sempre protetto, è stata la mia Mamma”.

Nato in una famiglia nobile

Nato a Parigi il 15 ottobre 1930 in una famiglia nobile (il padre, diplomatico, era marchese), nel 1952, dopo la laurea in scienze politiche, Leroy abbandonò un destino garantito per andare a combattere come sottotenente paracadutista prima in Vietnam e poi in Algeria; visse quindi per qualche tempo negli Stati Uniti. Tornato in patria, esercitò mestieri assai diversi finché, in qualità di amministratore della pubblicità della rivista “La cinématographie française” ebbe modo di entrare in contatto con il mondo del cinema. Conobbe così Jacques Becker, che nel 1960 lo scritturò per “Il buco”, nel suo primo ruolo da duro: un detenuto che tenta la fuga dal carcere, un criminale, ma umano e pieno di dignità.

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