L’editoriale. La vittoria di Giorgia ha spezzato l’incantesimo: l’Ue non è più un club

10 Giu 2024 21:00 - di Antonio Rapisarda

Lo abbiamo scritto e ribadito da queste colonne fin dal primo giorno di una sterminata campagna elettorale: il “modello italiano”, il destra-centro di governo che ha riportato il mandato popolare al centro dell’agenda nazionale (dopo undici anni di “vacatio” e di vincolo esterno), fa scuola in Europa. I risultati definitivi dei 27 Paesi chiamati a rinnovare l’Europarlamento hanno confermato, alla grande, la tesi: non solo l’asse “politico” dell’Ue, come ha assicurato Giorgia Meloni qualche giorno fa proprio al Secolo d’Italia, si è spostato a destra. Ma tutto ciò è avvenuto proprio in scia del “laboratorio italiano” che lei guida a Palazzo Chigi: esecutivo passato dall’essere l’osservato speciale a fatto nuovo della politica comunitaria.

L’alleanza di governo italiana è emersa dalle urne come l’unica, vera, solida realtà d’Europa: FdI con il 28,8% cresce e si conferma forza trainante del sistema politico italiano; mentre Forza Italia e Lega hanno blindato i rispettivi ruoli e le specificità, addirittura con passi avanti rispetto al 2022. Di fatto la coalizione non solo “ha tenuto” (fatto rarissimo, secondo tutti i sondaggisti, per le elezioni di mid-term) ma rispetto alle Politiche avanza: segno, dopo quasi due anni di governo vissuti all’interno di una congiuntura delicatissima – fra guerre, crisi energetica e inflazione – di una performance riconosciuta e premiata dagli italiani. Un responso ancora più importante, poi, se paragonato a ciò è avvenuto agli altri protagonisti in Ue.

I maggiorenti della coalizione “arcobaleno” sono stati spazzati via, letteralmente, dalle rispettive opinioni pubbliche. Emmanuel Macron con la sua coalizione è stato più che doppiato da Marine Le Pen e dal giovanissimo Jordan Bardella. Peggio ancora ha fatto il cancelliere Olaf Schol: superato persino dai radicali di destra di Afd. Problemi grossi pure per Pedro Sanchez, scavalcato – pochi mesi dopo il controverso patto con i secessionisti che gli ha permesso di vincere alle Politiche – dai Popolari. Morale della storia? I socialisti, i liberali, i verdi hanno dimostrato di essere minoranza, insieme alla loro agenda dirigista, eco-fanatica e anti-sociale, in tutta Europa: sempre più spesso estrema minoranza. Cartina di tornasole gli exploit altrettanto significativi che giungono, dalle destre, non solo in Italia, in Francia e in Spagna ma anche nel resto delle principali Nazioni: dall’Olanda all’Austria, dalla Grecia alla Finlandia.

Sufficiente tutto ciò, questa è la domanda, per far cambiare direzione a Bruxelles? A convincere il Ppe a interpretare il cambio di paradigma? Questo si vedrà nei prossimi giorni: interessante notare nel frattempo come sia Ursula von der Leyen che Roberta Metsola abbiano sottolineato la necessità di «allargamento» e di «maggioranze». Segno che il vecchio schema ha fatto il suo tempo e che il nuovo potrebbe conformarsi a partire dai temi e non dalle conventio ad escludendum. Di certo le forze della “reazione” e dello status quo sono già all’opera da settimane per cercare di scongiurare in tutti i modi ciò che gli elettori europei hanno mostrato di volere. Lo dimostrano le analisi a caldo di certi commentatori, nelle quali è tutto un armeggiare pallottolieri per cercare di dimostrare, sfiorando il ridicolo, che alla fine non sarebbe cambiato granché: «I numeri – si affannano a spiegare – mostrano che la Grosse koalition è salva!». Non è certo una sorpresa: non hanno capito, o si illudono di non vedere che cosa è avvenuto, che cosa si muove nel profondo delle coscienze nazionali d’Europa.

A essere sconfessata dagli elettori (anche con l’alta astensione registrata) è stata proprio l’attuale architettura e il suo “club” franco-tedesco. Facile capire perché: ha rappresentato non l’unione del meglio delle famiglie europee su una sorta di minimo comun denominatore ma la debolezza endemica di una formula e dei suoi egoismi. Sindrome che ha determinato – come ulteriore effetto collaterale – l’avanzata fra le architetture labirintiche dei Palazzi di Bruxelles di una burocrazia autoreferenziale che ha esercitato il proprio arbitrio scommettendo proprio sull’inevitabilità delle larghe intese. Ecco, la vittoria di Giorgia Meloni – a capo dell’unico governo, fra i grandi, premiato dalle urne – e l’avanzata dei conservatori e degli identitari ha spezzato quest’incantesimo.

Che cosa ci dice, allora, la nuova mappa “concettuale” d’Europa? Che è tempo di un’Unione comunitaria e non più ristretta a un circolo. Guidata dal genio delle Nazioni, dalle necessità dei suoi cittadini e non dai capricci di una cordata senza mandato. Se le cose non dovessero andare così Meloni ha già dimostrato che con buonsenso e idee chiare può fare da capofila in ogni situazione. Lo ha fatto, senza battere ciglio, controvento. Ed è uscita vincitrice. Qualcuno lì a Bruxelles ha bisogno di un disegnino?

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