“Cacicchi” sì, fessi no. Nel Pd la Schlein ha poco da festeggiare: i voti sono tutti dei vecchi scarponi

25 Giu 2024 15:42 - di Lucio Meo

Il “cacicchio” nel Pd è come la gramigna nel campo di papaveri: se non estirpi fino all’ultimo filo, rizolli, getti un po’ di veleno e richiudi tutto, rispunta sempre, ai voglia a dire che hai bonificato, azzerato, rottamato. E come la gramigna, in mancanza di semi buoni, ha il merito di coprire tutto, zolle, insetti, pietre, e dare in qualche modo al giardino o all’orto l’apparenza di un campo coltivato, largo e stretto che sia.

Le ultime amministrative, dopo i ballottaggi, salutati dalla segretaria del Pd Elly Schlein come un’avanzata anti-Meloni delle forze fresche di sinistra, a ben vedere ha fatto segnare, come già alle ultime Europee, il grande ritorno dei “cacicchi” e dei “capibastone”, la gramigna politica contro cui, dopo gli scandali del Pd pugliese, si era scagliato il leader del M5s Giuseppe Conte, travolto a sua volta dagli stessi  “babucchioni” che alla fine hanno dimostrato di avere una dote non secondaria, in politica: i voti.

I vecchi scarponi, politicamente s’intende, come De Luca in Campania, Emiliano e Decaro a Bari, Nardella a Firenze, Ricci a Pesaro, Bonaccini e Franceschini in Emilia Romagna, tanto per fare qualche esempio. Sono loro ad aver tirato i fili dei sindaci-burattino, invocati, imposti e sostenuti nelle zone di propria influenza. In Campania, “o’ sceriffo” ha perfino delegato il figlio, Piero, al sostegno dei suoi candidati, senza neanche sprecarsi troppo. Del resto, il termine “cacicco” ha origini spagnole e storicamente indicava un capo o un leader di una comunità indigena: in politica viene usato per descrivere un leader locale con un forte controllo sul proprio territorio. Nel Pd, i cacicchi sono spesso associati a una gestione politica che può sembrare più orientata al mantenimento del potere personale piuttosto che a un approccio democratico e trasparente.

Solo due mesi fa, Elly Schlein aveva tuonato: “Vogliamo più vedere irregolarità sui tesseramenti, abbiamo dei mali da estirpare, non vogliamo più vedere capibastone e cacicchi vari. Su questo dovremo lavorare tanto insieme, ne va della credibilità del Pd, su cui non sono disposta a cedere di un millimetro”, annunciando una rivoluzione interna. A Bari, per esempio, il sindaco Vito Leccese è un clone di Emiliano e Decaro, visto che ha lavorato come capo di gabinetto dell’ex sindaco per molti anni, condividendo con lui un percorso politico e amministrativo intenso. Michele Emiliano, a sua volta, ha espresso il suo appoggio a Leccese, vedendolo come il naturale successore per la guida della città di Bari. Emiliano e Decaro hanno entrambi “benedetto” la candidatura, come Ricci a Pesaro, per il sui delfino Biancani, Nardella a Firenze per Sara Funaro, alla quale è andato lo stesso pacchetto di voti che l’ex delfino di Renzi aveva ereditato da Matteo e che prima ha utilizzato per farsi eleggere in Europa. Perché i voti, nel Pd, ce l’hanno le micro-correnti personali, non la Schlein, e li fanno pesare imponendo scelte personali e politiche. Cacicchi sì, fessi no.

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