Contrafforti per una Civiltà europea del lavoro: il genio italiano e l’umanesimo di Adriano Olivetti
La Festa dei lavoratori coincide quest’anno con l’avvio della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo. I partiti avranno tempo fino alle 20 del I° maggio, infatti, per depositare l’elenco con i nomi dei candidati in corsa per un seggio all’Europarlamento. La coincidenza temporale suggerisce, dunque, un percorso ideale e politico che partendo dall’Italia e dalla sua Costituzione possa giungere all’affermazione di una nuova “Civiltà del lavoro” a livello europeo.
Del resto, le complesse intersezioni dell’economia globalizzata, gli stravolgimenti già determinati dalla rivoluzione telematica e quelli ormai avviati dalla affermazione dell’intelligenza artificiale, la progressiva finanziarizzazione del sistema produttivo rischiano di determinare, insieme alla ricerca della massimizzazione dei profitti “senza produzione”, nuove e più accentuate diseguaglianze, originali forme di alienazione del cittadino-lavoratore e una definitiva crisi dello Stato sociale.
È proprio dai principi della “Costituzione economica” italiana, spesso accantonati sull’altare della costruzione dell’Europa dei mercati e della ricerca della stabilità monetaria, che occorre, dunque, ripartire per la costruzione di un Umanesimo del lavoro del terzo millennio. Nella Costituzione italiana la centralità della persona umana trova immediato riflesso nel rapporto di strumentalità dello Stato rispetto ai diritti e alle libertà del cittadino, ma anche nella indisponibile centralità del lavoratore nel modello economico di riferimento.
Il lavoro è, già nell’art. 1 della Costituzione, misura del sistema democratico e della dignità sociale dei cittadini, in capo ai quali si radica il diritto-dovere di lavorare, “svolgendo, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4 Cost). In questi termini, quindi, il lavoro non è (o non è soltanto) fattore di produzione, ma innanzi tutto strumento di elevazione materiale e spirituale del cittadino e della comunità politica nel suo insieme. Tale presupposto è, del resto, coerentemente declinato nel titolo III della Carta fondamentale, dedicato ai Rapporti economici, nella prospettiva di una visione politico-filosofica ed economico-sociale che affonda le sue articolate radici nel pensiero gentiliano, nella Dottrina sociale della Chiesta Cattolica e naturalmente anche nelle differenti correnti del socialismo non materialista.
Il rilievo costituzionale del lavoro, come strumento di elevazione materiale e spirituale, è perciò il fondamento di quella finalizzazione della libertà di iniziativa che impedisce che la stessa possa svolgersi “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana” (art. 41 Cost.) La centralità del lavoratore è, inoltre, il presupposto del rilievo assegnato alla libertà sindacale (art. 39 Cost.); alla funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità (art. 45, I comma, Cost.); della tutela dell’agricoltura (art. 44 Cost.) e dell’artigianato (art. 45, II comma, Cost.), quali attività che più simbolicamente evocano la capacità dell’uomo di plasmare la materia, così elevandosi sopra di essa; del diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende “ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro” e “in armonia con le esigenze della produzione” (art. 46 Cost.)
Si tratta di una visione che pone l’uomo al centro dell’economia e che vede nel lavoro, in tutte le sue forme, il principale strumento di partecipazione democratica e di crescita della comunità. Un modello che già all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione aveva stimolato il pensiero e l’azione di Adriano Olivetti: uno straordinario esempio del “genio italiano”, per il quale l’equilibrio tra profitto, libertà e solidarietà sociale doveva essere fondato su una idea di impresa e di organizzazione del lavoro in cui il benessere del lavoratore e la felicità collettiva costituiscono altrettanti generatori di opportunità, di crescita diffusa e di efficienza.
È questa, dunque, la tavola di valori politici e principi costituzionali che dobbiamo rilanciare per una nuova Civiltà europea del Lavoro: un nucleo di “pensiero forte” che ci consenta di mantenere centrale l’elevazione materiale e spirituale dell’uomo e del lavoratore nelle nuove dinamiche politiche, sociali ed economiche che seguiranno inevitabilmente alla rivoluzione tecnologica in cui siamo già completamente immersi.
*Ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico e Componente del Consiglio Superiore della Magistratura