Solo odio senza “classe”. La sinistra si metta in salvo prima di impazzire: diventi conservatrice

10 Apr 2024 7:44 - di Pio Belmonte

Lo stratagemma preferito dalla sinistra per eludere il confronto con la destra, da sempre, è accusare quest’ultima di non aver fatto i conti con il passato. Generazioni di progressisti, per decenni, si sono passate il testimone nel dare ai propri interlocutori, indistintamente, del “fascista”, per qualunque ragione. Ti piace l’Italia? Sei fascista. Credi nella famiglia? Fascista. Credi in Dio, nelle regole, nelle leggi, nelle gerarchie? Fascista. Vesti classico, vai a pesca, vivi in provincia, non ti piace l’astrattismo, i monopattini, la cucina molecolare? È perché sei, almeno un po’, fascista. Non serve a nulla dichiararsi democratici o liberali, cristiani o libertari: hai il physique du role, devi rassegnarti.

Ma la sinistra, che accusa altri di non aver fatto i conti con un fantasmagorico passato, con il suo oscuro passato marxista, invece, ha fatto davvero i conti? Con quel dogma che ha eretto la “dialettica” a parametro unico del progresso, quindi con la lotta di classe e la guerra civile, l’occupazione delle terre e l’esproprio proletario, il sabotaggio e la giustizia sommaria, ha fatto davvero i conti, nel 2024? Perché, accusare gli altri di essere nostalgici e – dal proprio canto – non riuscire a superare l’approccio culturale che fu di tutti i movimenti comunisti, è bizzarro e non poco: per esempio, sobillare immigrati contro italiani, accusando i secondi di essere razzisti (piuttosto che accusare i primi di non fare abbastanza per integrarsi, cinesi esclusi), cos’è? Non è la nuova liberazione del proletariato, foriera di odio e violenza? E animare ogni minoranza (per esempio, LGBT) contro la collettività, accusando genericamente quest’ultima di essere “privilegiata” (piuttosto che approfondire le cause del disagio della minoranza, che risiedono spesso in una – incolpevole, magari – marginalizzazione e auto-marginalizzazione), cos’è? Non è forse una mobilitazione permanente per strozzare il “padronato”? E la chiamata alle armi di ragazzine e zitellone contro il “maschio” e il “patriarcato” cosa sono, se non la lotta per la conquista dei mezzi di produzione (che, come scoprì Lenin, non serviva nemmeno a niente)?

Guerra sì…di nervosismi

Con la differenza, di non poco conto, che, mentre le sanguinose lotte del passato erano dirette al miglioramento delle condizioni salariali, queste ultime (non più sanguinose ma in grado di dilaniare la società, anche più che in passato) paiono dirette piuttosto ad alimentare continue micro-guerre nervose, un ciclo capillare di rabbia e vendetta in ogni quartiere, casa, stanza, salvando i progressisti dagli effetti di una prospettiva storica che non c’è più, ormai da molti anni. La verità è che la sinistra, dopo aver realizzato il suo scopo (il miglioramento delle condizioni dei lavoratori, unica contraddizione del capitalismo, ma lo dice anche la Chiesa), è rimasta a corto di battaglie e deve inventarsele per dare un senso a illusioni e, soprattutto, a migliaia di avviate carriere. Ma, così facendo, non si accorge di vivere un presente virtuale, parallelo, allucinato, come Don Chisciotte contro i famosi mulini a vento. E non si accorge, soprattutto, di impazzire.

La soluzione? Diventare “all’antica”

E allora, noi proponiamo un patto, un epocale accordo intellettuale tra una destra sempre troppo nostalgica (per i gusti della sinistra) e una sinistra sempre più impantanata in un’eterna illusione di forza e gioventù (oggettivamente sfiorite da tempo). La sinistra faccia un respiro profondo e ammetta di avere un grande, grosso problema: la fissazione per la Rivoluzione. Dicevano gli antichi che è meglio una malattia di una fissazione: dunque impari la sinistra, dal migliore conservatorismo, che i cambiamenti possono essere buoni, ma le rivoluzioni no, mai. Le rivoluzioni generano odio e divisione, dilaniano famiglie e nazioni e non risolvono nessuno dei problemi. I problemi della società non si risolvono aizzando masse di emarginati contro quelli che, per mille ragioni, per merito o per fortuna, emarginati non sono mai stati, o non lo sono più, o non lo sono ancora e comunque non vogliono esserlo. La marginalità, come la povertà, è una condizione dalla quale non si esce occupando case o malmenando passanti; dalla dannazione degli ultimi, dalla miseria morale e materiale, si esce innanzitutto praticando l’etica del dovere, il rispetto del prossimo e delle leggi, impegnandosi tutti insieme per una società sempre più ordinata, equa e finalmente pacificata. Il lavoro e non la rapina, il confronto e non la persecuzione, l’ordine e non la rivoluzione, lo stile e non la distruzione, il culto della bellezza e non il gusto dell’orrido ci salveranno.

Già il proletariato raggiunse, nei Paesi comunisti, condizioni non migliori di quelle raggiunte nei Paesi capitalisti, e senza però versare sangue, senza uccidere monarchi né preti. Non ceda, la sinistra, alla tentazione di scatenare per sempre conflitti sempre nuovi pur di sopravvivere, pur di evadere dal suo vuoto epocale di contenuti e identità, dal suo inverno ideologico e creativo. Diventi un po’ più all’antica la sinistra, un po’ più matura, prudente, conservatrice e si salvi l’anima – almeno quella – prima di impazzire. Diventi, finalmente, qualcosa con cui potersi confrontare e crescere.

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