Luca Beatrice: “La mostra Arte e fascismo? Titolo ‘scandaloso’ perché al governo c’è Giorgia Meloni”
Grande eco e grandi polemiche per la mostra “Arte e fascismo” al Mart di Rovereto, in corso fino al 1 settembre . Rassegna che analizza “i vari e complessi modi in cui il regime fascista influì sulla produzione figurativa italiana, utilizzando a fini propagandistici i linguaggi dell’arte e dell’architettura”. Ideata da Vittorio Sgarbi e curata da Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari. La rassegna ha un difetto, il titolo. Quell’accostamento tra Arte e fascismo che Corrado Augias su Repubblica ha definito “brutale”. “Il titolo fa una certa impressione”, scrive l’editorialista e scrittore. Che pure elogia la serietà e la competenza delle curatrici e la ricchezza del catalogo.
Tra pittura, scultura, documenti e materiali d’archivio, il percorso espositivo si snoda tra 400 opere di artisti e architetti come Mario Sironi, Carlo Carrà, Adolfo Wildt, Arturo Martini, Marino Marini, Massimo Campigli, Achille Funi, Fortunato Depero, Tullio Crali, Thayaht, Renato Bertelli, Renato Guttuso. Provenienti da collezioni pubbliche e private le opere dialogano con alcuni dei grandi capolavori del Mart e con numerosi materiali provenienti dai fondi dell’Archivio del ’900. Otto sono le sezioni cronologiche e tematiche che scandiscono la visita. Chiediamo lumi a un critico d’arte, Luca Beatrice. Chiediamo a lui curatore e critico d’arte contemporanea, presidente della Quadriennale di Roma, oltre che docente in diverse istituzioni e università italiane, cosa non va nel titolo della mostra.
Luca Beatrice, davvero questo binomio del titolo della rassegna del Mart -Arte e Fascismo– è così “impressionante” e “brutale”, come lo definisce in un articolo Corrado Augias? Leggo testualmente da Repubblica: “Il titolo fa una certa impressione anche perché accompagnato da uno spaventoso busto nero di Mussolini”.
Partiamo da un presupposto: il titolo è destinato a far polemica. E’ come l’orso attirato dal miele. C’è dietro tutta l’abilità di Vittorio Sgarbi che in questo è un maestro, bisogna dargliene atto. Se lei, del resto, allestisse una mostra dal titolo “Arte e comunismo” non succederebbe nulla di tutto ciò.
Quindi, il titolo “ad effetto” è cercato, secondo lei?
Certo. Poi c’è un altro aspetto, che è il punto di vista dello storico dell’arte. Soprattutto nel primo decennio del fascismo l’arte ebbe uno sviluppo come mai in tutto il secolo. Tutti i professori, i critici anche quelli marxisti, non lo possono negare. E’ un dato di fatto. Un’arte all’insegna della modernità: prenda i piani regolatori delle nostre città per constatare che successivamente non si è più verificato qualcosa di simile dal punto di vista dell’estetica. C’erano politici lungimiranti e una politica di comunicazione attenta.
Spesso in altre mostre passate si sono usate perifrasi: sotto la dicitura “gli anni tra le due guerre” o “Anni ’20”. Il “divieto” si era poi affievolito. Oggi, il sostantivo fascismo è diventato impronunciabile: non si può più parlare?
Le rispondo dicendo che non si può più parlare – come lei dice- perché abbiamo un governo presieduto da Giorgia Meloni. Detto questo, io il titolo della mostra non l’avrei concepito così. Se si fosse optato, ad esempio, per “Arte durante il fascismo”, forse sarebbe stato diverso e avrebbe dato adito a meno polemiche. Quella congiunzione “e” tra Arte e Fascismo rende inevitabili le polemiche. Ripeto, Sgarbi è un maestro…
Che ne pensa del titolo del pezzo di Augias su Repubblica, “L’arte del Duce nonostante il Duce”?
Che è riduttivo. Quando si parla dell’arte di quel periodo si parla di un sistema delle arti organizzato. Si parla di personalità come Margherita Sarfatti, Bottai, il quale premiò la “Crocefissione” di Guttuso in un’edizione del Premio Bergamo. L’arte durante il Ventennio proponeva un gusto, cosa che manca nell’arte nazista e comunista che avevano un’estetica puramente propagandista.