Il panel sull’italianità nel mondo, Menia: il voto elettronico strumento di partecipazione. Puntiamo su quello

27 Apr 2024 17:08 - di Ginevra Sorrentino
Menia

Come è cambiata l’italianità nel mondo? A provare a raccontarlo nel panel dedicato a “Italianità all’estero, un patrimonio per l’Europa e per il mondo. Assemblea del Dipartimento Italiani nel mondo, coordinato da Roberto Menia (Senatore Fratelli d’Italia e Responsabile dipartimento Italiani nel mondo) e a cui sono intervenuti Giangiacomo Calovini (Deputato Fratelli d’Italia e Capogruppo in Commissione Affari esteri e comunitari) e Andrea Di Giuseppe (Deputato Fratelli d’Italia eletto all’estero) si è provato a raccontare come è cambiata l’immagine del nostro Paese al netto di una narrazione che quotidiani esteri, tedeschi e anglosassoni in particolare, nell’estate del 2022 hanno forzatamente stravolto per condizionare a fini politici l’opinione pubblica internazionale, allertata ad hoc sul possibile avvento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi.

L’italianità nel mondo, e la sua narrazione stravolta dai media

Veniva millantato un pericolo per l’Italia a livello europeo e internazionale in generale, e questa era una descrizione dell’italianità che faceva male non solo a Giorgia Meloni e a Fratelli d’Italia, ma soprattutto al Paese tutto. Agli italiani che ci vivono. E soprattutto a quelli che sono all’estero. Per fortuna, ha tenuto a sottolineare Calovini, «le cose sono cambiate. E non lo dico soltanto io, ma lo si percepisce particolarmente, e anche di più, quando si interloquisce con personalità straniere e ambasciatori, diplomatici e rappresentanti esteri in Italia, che ci rimandano un’immagine diversa. Rimarcando quanto l’Italia sia diventata un riferimento estremamente importante, fondamentale soprattutto nelle relazioni internazionali. E il merito creda vada dato ovviamente innanzitutto al presidente del Consiglio. A tutto il governo. Ma, al tempo stesso, anche ai tantissimi italiani all’estero che costantemente cercano di fare il meglio possibile. E lo fanno per il nostro Paese».

Calovini: al lavoro per «un’italianità all’estero che sia patrimonio per l’Europa e per il mondo»

E allora, cosa si può fare per migliorare ulteriormente? «Quando facciamo tutte le nostre missioni e incontriamo i nostri rappresentanti diplomatici – prosegue Calovini –  i nostri rappresentanti nelle camere di commercio, i nostri imprenditori nelle associazioni di categoria che hanno lavorato bene, credo sia necessario fare ancora di più “rete”. E questo è un tema su cui ci confronta sempre. Come fa la Francia con investimenti importanti all’estero: ad esempio negli Emirati Arabi. E io credo che sia da questo tipo di esempi che dobbiamo ripartire, poiché sono fortemente convinto che le nostre capacità non siano seconde a nessuno. Lo dico, a maggior ragione, perché stiamo vivendo un momento in cui c’è un governo stabile, forte di una maggioranza stabile in Italia come poche volte è accaduto negli anni precedenti. Pertanto sono fortemente convinto che, partendo da questi fattori, si possa raggiungere un risultato ottimale. Ed è proprio seguendo questa strada allora, che si può arrivare a un’italianità all’estero che sia patrimonio per l’Europa e per il mondo. Siamo sulla buona strada»…

Menia: una questione storica e culturale prima ancora che politica

Cultura e tradizione che, ovunque approdino con l’arrivo degli italiani all’estero, portano un contributo, ha sottolineato a sua volta Roberto Menia, io girando per il mondo ho imparato molte cose. Per esempio, io che vengo dalla Venezia Giulia, ho scoperto che il veneziano arcaico è quello che voi sentite parlare nel Rio Grande, un grande Stato nel sud del Brasile. Dove quell’idioma è lingua ufficiale e si chiama “talian” – perché lì andarono soprattutto persone che venivano da Veneto oltre un secolo e mezzo fa – e dove oggi si incontrano delle bellissime realtà». E ancora. «Per chi è appassionato di calcio, per esempio – prosegue Menia – nella Boca di Benos Aires (nella bocca del porto della città) fatta dai genovesi, il Boca Junior veste la maglia giallo blu perché i genovesi, dopo aver fondato la squadra di calcio, decisero dopo due giorni e due notti di discussioni che avrebbero dato al loro team i colori della prima nave che sarebbe entrata nel porto il mattino successivo. Così, entrò una nave svedese e il resto è storia… Ma ancora: se andate a Montevideo scoprirete che un’altra grande squadra di calcio, il Peñarol, si chiama così perché lì arrivo un medico piemontese (di Pinerolo appunto) che tutti amavano e stimavano perché curava la gente gratis. Insomma nel mondo c’è un’italianità che vive nel tempo nel mondo».

Menia sul tema della cittadinanza italiana

Ma venendo all’oggi, ha proseguito Menia, «non possiamo non parlare del principio di cittadinanza e per la riconquista di quella italiana per cui ci siamo battuti. Adesso per noi è scontato pensare all’istituto della doppia cittadinanza: ma non sempre è stato così. Molti italiani, infatti, per anni e anni si sono ritrovati in Paesi in cui, per lavorare, dovevi acquisire quella cittadinanza e rinunciare, di fatto alla tua. O ti veniva tolta d’ufficio dal Paese che ti ospitava. E allora, l’ultima volta che il Parlamento italiano è intervenuto in termini legislativi con una norma che ridesse una quadro normativo sulla cittadinanza è stato il 1992. All’epoca si aprì una finestra per riacquisire la cittadinanza italiana perduta. Però poi quell’opportunità ebbe un termine: quella finestra si chiuse e ci sono molti italiani che sono stati naturalizzati. Ora noi sosteniamo il diritto e l’opportunità per loro di recuperare la loro cittadinanza attuando legami con il loro Paese d’origine e l’italianità».

La questione Sud America e il Black friday della cittadinanza italiana in Brasile

Poi c’è un’altra questione, tutta diversa, che sta avvenendo per adesso in Sud America e sulla quale ritengo si debba mettere un freno – ha precisato Menia nel corso del suo intervento –. Perché la riconquista della cittadinanza in quella zona del mondo adesso avviene in numeri spropositati – cosa che ci viene riferita dai sindaci di molti paesi, dal Molise al Veneto per esempio – sindaci che ricevono migliaia di riconoscimenti della cittadinanza italiana. Che avviene per qualcuno che in Brasile, o in Argentina, sei generazioni dopo, pur sapendo a malapena da dove proviene, chiede di ottenere quel riconoscimento. Perché? Perché conviene. E allora per esempio in Brasile, esistono addirittura delle agenzie che fanno il Black friday della cittadinanza italiana vendendotela di fatto: fornendo documenti falsi, o sulla base di false residenze o con accordi fasulli con funzionari corrotti che accertano l’inesistente con certificazioni genealogiche fasulle, e così via…

Menia sul fenomeno delle “false” cittadinanze italiane

E così oggi c’è un nuovo fenomeno di cittadinanze italiane di bengalesi o pakistani, frutto magari di ricongiungimenti familiari e matrimoni, con buona pace di conoscenza della lingua, di un legame spirituale e culturale con il nostro Paese – e con tutte le implicazioni che si possono immaginare sul diritto di voto – che ci lasciano perplessi, del quale è giusto che si parli».

Europee, Menia: «L’obiettivo del voto elettronico per gli italiani all’estero»

E allora, venendo più che mai all’oggi e all’immediato futuro, durante la conferenza programmatica di Fratelli d’Italia in corso a Pescara Menia ha affrontato il delicato tema del voto per gli italiani all’estero. Spiegando: «In queste elezioni europee gli italiani all’estero voteranno ancora nei rispettivi consolati, ma l’obiettivo è che in futuro solo loro possano esprimere il diritto al voto con il sistema elettronico, come prevede già una mia proposta di legge presentata in Senato. Sarebbe un modo per coinvolgere maggiormente la partecipazione dei tanti connazionali oltreconfine. Ricordo che gli italiani all’estero rappresentano un patrimonio, non solo culturale, ma anche economico, perché sono persone che producono e fanno da ambasciatori del Made in Italy in Europa e nel mondo», ha tenuto a sottolineare il senatore di Fratelli d’Italia Roberto Menia, coordinatore nel partito del dipartimento Italiani all’estero, durante la conferenza programmatica di Fratelli d’Italia in corso a Pescara.

Di Giuseppe: il ruolo degli italiani nel mondo e il destino dell’Italia

«Io faccio parte della seconda ondata di italiani che sono andati fuori, io sono andato fuori circa 20 anni fa, negli Stati Uniti, e sono sempre stato tra Stati Uniti e Medio Oriente. Il destino dell’Italia come sistema sociale ed economico è legato indissolubilmente al destino degli italiani nel mondo, e il contrario», ha detto invece Andrea Di Giuseppe, deputato di Fratelli d’Italia eletto all’Estero, durante il panel della conferenza programmatica del partito a Pescara. «La maggior parte degli italiani della seconda ondata, che pure non andavano via con le scarpe rotte come succedeva nella prima, andavano via per esigenza, non per scelta», ha proseguito. Aggiungendo: «Basta che uno guarda il livello degli stipendi e della retribuzione e tutto quello che le sinistre ci hanno regalato negli ultimi 25 anni e ci rendiamo conto».

Italianità nel mondo: le eccellenze di un’altra Italia internazionalizzata

E ancora. «Mi soffermo sulla seconda generazione anche se la prima è un patrimonio culturale enorme. Si parla dei sei milioni di italiani censiti, iscritti Aire, ma in realtà sono almeno il doppio, sono il meglio del meglio. Voi trovate l’eccellenza italiana, dall’industria ai reparti scientifici e culturale», ha spiegato Di Giuseppe. «Si chiede sempre cosa può fare l’Italia per gli italiani nel mondo ma è il contrario, la domanda è cosa possiamo fare noi per l’Italia. Noi abbiamo un’altra Italia che è già internazionalizzata, ed è l’unico Paese al mondo che ha questa opportunità. E noi dobbiamo vederla come una opportunità, e dobbiamo capire – ha spiegato – che gli italiani nel mondo sono degli ambasciatori già internazionalizzati. Se non la vediamo così, allora abbiamo un problema perché dal buco è difficile uscire».

Un portale per unire le aziende con gli italiani del mondo che vogliono tornare

«Noi non siamo un Paese da 60 milioni di persone – ha quindi concluso Di Giuseppe – siamo un Paese da 100 milioni di persone». Di Giuseppe ha poi parlato «delle aree da cui possiamo avere italiani di ritorno, penso al Sud America. Bisogna che ci siano le condizioni. Bisogna capire che prima di tutto vengono gli italiani. Con la Regione Veneto stiamo studiando un portale per unire le aziende con gli italiani del mondo che vogliono tornare. Così si fa un progetto che abbia fondamento, altrimenti rimangono solo parole»…

 

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