Cent’anni fa nasceva Marlon Brando, nel ruolo del colonnello Kurtz la sua apoteosi di attore

3 Apr 2024 16:42 - di Mario Campanella

Forse si può dire che Marlon Brando è stato l’inarrivabile, il più grande attore di ogni tempo. Cent’anni fa nasceva l’uomo che avrebbe reso il cinema qualcosa di diverso. Bellissimo e introverso, intrigante e controverso, due volte premio Oscar come migliore attore ( con otto candidature). I suoi 30 minuti scarsi ne Il Padrino, che gli valsero la seconda statuetta non ritirata per protesta, sono una pietra miliare del cinema. Ma il colonnello Kurtz di Apocalypse Now raggiunse forse vette ancora più alte. Formatosi all’Actor’s Studio con il metodo Stsnislavskij, Brando conobbe il successo grazie ad Elia Kazan e Tenessee Williams. Da Fronte del porto a Un tram chiamato desiderio. Un successo epico, contrapposto idealmente a quello di James Dean ma destinato negli anni sessanta a declinarsi.
Fu Francis Ford Coppola a farlo riemergere dall’oblio affidandogli la leggendaria parte di Don Vito Corleone nel capolavoro assoluto della storia del cinema. E subito dopo con il sofferto e altrettanto leggendario film sul Vietnam per il quale pretese un cachet di un milione di dollari a settimana che rischio di mandare in bancarotta la Paramount. Poi, piccole e strapagate apparizioni (Superman) per dedicarsi all’eremitaggio della vita su un’isola.
Nel mezzo, lo scandaloso film con Bernardo Bertolucci, Ultimo tango a Parigi, finito nell’orda della censura e consegnato alla storia.
Ottantanni di vita a tratti drammatica con un talento difficilmente arrivabile. Per il ruolo di Don Vito avevano pensato a Gianmaria Volonté, che in un parallelo di classe ingaggerebbe un bel duello con il divo americano, che però rifiutò. Più che il volto mezzo distorto del capo dei Corleone, la sua immagine resta legata al chiaroscuro dell’ingresso di Kurtz in Apocalypse Now. E lì diventa perfezione, giganteggiando sulla mediocrità di un mondo che il grande Marlon in fondo non amò mai. Come un’aquila nietzschiana.

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