Verso l’8 marzo. Le “straordinarie” secondo noi. Gianna Preda, fuoriclasse del giornalismo: i suoi scoop memorabili

5 Mar 2024 7:46 - di Antonella Ambrosioni
Gianna Preda

Con questi ritratti in vista dell’8 marzo il Secolo d’Italia intende far conoscere alcune delle (tante) donne straordinarie che non saranno mai attenzionate dal mondo progressista. Perché, semplicemente, non si riconoscono nei canoni di un femminismo fatto di quote, rivendicazioni, piagnistei. Con il loro impegno in vari campi hanno già tracciato un percorso che può essere di stimolo e esempio.. 

Gianna Preda è stata una giornalista di destra di grande talento ma soprattutto una donna fedele a se stessa, alla sua professione, alle sue idee, ai suoi lettori, autrice di scoop memorabili. Per tutti è la giornalista che fece dimettere Fanfani da ministro degli Esteri nel 1965. Una donna che in assenza di quote rosa e di pari opportunità, la libertà, l’indipendenza e la fama se le prese da sé, non rinnegando mai il suo carattere acuminato e la sua indipendenza di giudizio. Gianna Preda anticonformista – termine che oggi con molta leggerezza non si nega a nessuno – lo fu veramente. E in tempi in cui esserlo significava chiamarsi fuori dall’establishment intellettuale. Il suo essere “straordinario” si riversò nel giornalismo d’attacco che lei praticò con un’efficacia che al suo tempo non conosceva rivali. Il che  non le consentì, di fatto, una carriera nei giornali blasonati o nella Rai allora democristiana. Non fu mai corteggiata dai salotti, non era quello il suo mondo e a lei piaceva così: essere Gianna Preda. Per questo non le rende giustizia la definizione che le fu data successivamente di essere l’ “Oriana Fallaci di destra”. Gianna Preda è assolutamente un unicum.

Gianna Preda, penna di destra di grande talento, autrice di scoop memorabili

Autenticamente di destra, almirantiana di ferro.  Ammirava il leader missino, aveva scritto l’inno della Destra Nazionale. Ma questo non le impedì di manifestare il suo disaccordo con il segretario dell’Msi quando non condivise le prese di posizioni sulla pena di morte («Non credo allo Stato carnefice») e sul divorzio: «Gli scrissi che era una sciocchezza, perché il divorzio era stata una conquista, soprattutto per la borghesia». Fu un’ antesignana della lotta alla partitocrazia, denunciò con veemenza il malcostume politico, il compromesso, la corruzione. Coraggiosa, talento da vendere, carattere d’acciaio. A tutto questo aggiungiamo la capacità di diagnosticare con tanti anni d’anticipo i “mali” che sarebbero diventati strutturali nel nostro Paese: i danni del consociativismo, il terrorismo. Una donna – prezzolinianamente- “del dopodomani”. Tutto questo denunciò fino alla sua morte avvenuta nel 1981, stroncata dal “malaccio” come lo definiva, ad appena sessant’anni.

“Gianna sapeva sempre tutto”: l’elogio del giornalista di sinistra

Visceralmente anticomunista, fu la penna più caustica della destra italiana. Essere di destra nel giornalismo del suo tempo non era facile e pure era  molto considerata (e temuta) anche dai colleghi di sinistra. “Era soprattutto una vera giornalista. Gli uomini politici dell’epoca erano riservati, ma Gianna sapeva sempre tutto”: glielo riconobbe da sinistra uno dei decani del giornalismo parlamentare, Pasquale Laurito, fondatore della “Velina rossa” (intervista a Radio radicale del 29 settembre 2021). “Fu una delle prime giornaliste della Sala Stampa parlamentare, non ne ricordo altre. Era pericolosa – dicevano di lei- . In virtù del suo sorriso accattivante e dei suoi modi educati – ricorda l’anziano giornalista-  aveva la capacità di essere amica e affabile con tutti. Salvo poi ricavare dal nulla, da una battuta, una notizia, un articolo. Questa è l’essenza del giornalismo”. Insomma, una fuoriclasse. Riconosciuta come tale. Chi fa il nostro mestiere – da qualunque appartenenza politica si provenga- dovrebbe mettere Gianna Preda nell’Olimpo degli esempi cui ispirarsi. Invece, nella classifica delle donne “straordinarie” care a un certo mainstream lei non figurerà mai. Troppo “oltre”.

Perché non figurerà mai tra le donne “straordinarie”

Oltre ogni presenzialismo, allergica ai salotti, puntuta contro il femminismo radical chic. Colse questo aspetto lo scrittore ed editore Roberto Alfatti Appetiti in un suo scritto proprio sul Secolo – Gianna Preda la “Maga Magò  che fece nere le femministe– . “Femministe che, sotto la sua penna caustica, diventavano macchiette caricaturali, come ben sa Natalia Aspesi, cui la Preda rivolse ironiche stilettate in un dibattito a distanza”. Femminismo, quote rosa, pari opportunità: lessico lontano anni luce da  Gianna Preda. Dunque, una donna non spendibile in tempo di Pensiero Unico. Avrebbe dato un calcio ai diktat del politicamente corretto, avrebbe riso a crepapelle a sentire parlare di lotta al patriarcato, si sarebbe fatta beffa del linguaggio inclusivo, degli asterischi, della shwa. Il suo stile era diretto, sanguigno e andava dritto al punto. Il suo linguaggio serviva a delineare la realtà, smascherarla nel caso e non certo non a nasconderla o a edulcorarla.

Gianna Preda, lo ‘scoop’: dove scovò il gesuita poi sposatosi con la militante del Pci

Gianna Preda dimostrò che si può essere apprezzati anche senza essere presenzialisti,  anche senza inseguire salotti e lisciare il pelo ai potenti. Infatti aveva una fitta rete di conoscenze e di amicizie con le quali riusciva ad avere notizie in anteprima come pochi altri cronisti. Oggi avrebbe irriso il narcisismo di certi colleghi/colleghe da salotto tv, alla ricerca del “gradimento”. A lei interessava la sostanza del suo mestiere, amava “dare fastidio”. E lo dette, eccome. Fu autrice di scoop memorabili. Le sue inchieste entrarono nella carne vita del dibattito politico italiano. Nel 1952, mentre collaborava per il settimanale Epoca,  realizzò uno scoop per aver scoperto dove si nascondeva padre Alighiero Tondi. Era, questi, un gesuita che giocò un ruolo importante ai tempi dei comitati civici di Gedda. Successivamente abbandonò la Chiesa e si sposò con una militante del Partito comunista. Si trasferì poi  all’estero, pensando di far perdere le proprie tracce. Ci sarebbe riuscito se non ci fosse stata una Gianna Predassi – ancora non era Gianna Preda, pseudonimo con cui firmò sempre sul Borghese- . Lei ostinatamente lo cercò e lo trovò in una balera di Berlino Est con sua moglie. Riuscì a intervistarlo e a fotografarlo mentre ballava con la consorte. La foto di quel ballo divenne, nelle elezioni del 1953, un manifesto politico anticomunista.

Il suo capolavoro: le dimissioni di Fanfani nel 1965

Questo scoop qualificò Gianna Preda come una delle più tenaci e brillanti giornaliste del momento: Aldo Borelli, direttore del Corriere della Sera durante il periodo fascista, la chiamò come redattrice del Giornale d’Italia. Anche qui lasciò il segno: nel 1959 intervistò la senatrice Lina Merlin, autrice della legge che aveva portato alla chiusura delle  ‘case di tolleranza’. L’intervista, per l’argomento trattato e per la schiettezza della intervistatrice, non fu però mai pubblicata. “Volevano controllarla”, spiegò Pasquale Laurito. “Ma lei non lo permise mai”.Trovò pertanto nel Borghese il suo elemento naturale quando su invito di Leo Longanesi nel 1954 iniziò a scrivere con lo pseudonimo di Gianna Preda. Nel 1957, alla morte del fondatore, divenne redattore capo del settimanale diretto da Mario Tedeschi, cui collaborò per tutta la vita, diventandone anche vicedirettore. Da quelle colonne “accarezzò”  tutt’altro che affettuosamente tutti i potenti, da Andreotti a Berlinguer a Fanfani. Memorabile la sua intervista al sindaco di Firenze La Pira, fanfaniano doc, che causò le dimissioni dell’allora ministro degli Esteri. Fu il suo capolavoro.

Il Borghese titolò: “La Pira parla in libertà”

Era il  30 dicembre del 1965 quando il Borghese pubblicò la sua intervista dal titolo: “La Pira parla in libertà“. Il testo, ripreso da tutti i quotidiani, scatenò l’inferno contro Fanfani. Durante il colloquio La Pira si “sbottonò” e lei che aveva con sé  un registratore nascosto raccolse tutte le sue dichiarazioni. Il pericolo comunista? Minimale, rispose La Pira. Benito Mussolini? Un uomo da ammirare. Aldo Moro? «Molle».  Pietro Nenni era, a suo parere, «estinto». La Pira si lasciò andare anche a una previsione: un monocolore presieduto dallo stesso Fanfani e «appoggiato da tutti».,Ma tutti tutti, compresi Pci e Msi. Anche dai comunisti?, chiese la Preda. «Si certo, anche dai comunisti», rispose La Pira, fornendo, in due ore di conversazione, una visione antitetica rispetto alle posizioni del governo italiano. Fu micidiale per Fanfani. Ma ciò che maggiormente lo danneggiò fu la notizia, diffusa qualche giorno dopo da Gianna Preda stessa, che la conversazione con La Pira aveva avuto luogo nell’appartamento romano del ministro degli Esteri, via Platone,15. Grazie all’amicizia di Gianna con la moglie di Fanfani. Al quale non restò che dimettersi con un comunicato in cui parlò dell’«improvvida » iniziativa di un «familiare » e dei giudizi non condivisi di un «amico».

Fiera della sua “marginalità”

Gianna Preda godette di una fama notevole e pure non scalfita da invidie. Il motivo era molto semplice, riconobbe l’editorialista Maria Latella in un profilo tracciato nel 1994: “Stava nel ghetto di destra e dunque non era una concorrente, non dava fastidio. Gianna Preda rimase fino alla fine fedele al suo stile, fiera dell’anticonformismo che l’avrebbe relegata a una notorietà da circuito ristretto che non consentiva, di fatto, una carriera nei giornali dell’establishment. Non fu mai corteggiata dai salotti engagé, come Camilla Cederna negli anni Sessanta- scrisse Latella- : non era quello il suo mondo. No, Gianna Preda poteva contare su un pubblico appassionato ma, come lei, marginale”. Ma lei era fiera di esserlo: la straordinarietà nella marginalità, il suo capolavoro, un punto di forza, un segreto del successo, sia pure oggi dimenticato. Fu una giornalistica autentica e originale, per questo il suo pubblico l’amò fino alla fine. La rubrica della “Posta” era il cuore del “Borghese”: i suoi lettori  erano viscerali ed indignati almeno quanto lei nel denunciare “le tante italiche puttanate”. E lei rispondeva loro con passione e sincerità. Senza mai indietreggiare.

“Ho fatto troppa politica per parlare di aspetti profondi”

Sul finire della vita, si congedò dai lettori con un articolo intitolato “Per fatto personale” nel quale esprimeva un rimpianto molto umano, di grande sensibilità e arguzia al tempo stesso: «È difficile avere un’idea di quanto possano essere stupide le faziosità e le presunzioni di una persona intelligente come me. Avrei dovuto capire di più quelli che non la pensavano come me. Il guaio – concluse – è che ho fatto troppa politica per parlare di aspetti profondi».

 

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