Messina Denaro, nuovo colpo alla rete di fiancheggiatori: arrestati tre “insospettabili”. Chi sono
È stato sferrato un nuovo colpo alla rete di fiancheggiatori che ha protetto Matteo Messina Denaro nel corso della sua latitanza durata oltre 30 anni. Oggi i carabinieri del Ross hanno arrestato tre persone. Si tratta dell’architetto Massimo Gentile e del tecnico radiologo Cosimo Leone, sospettati di associazione mafiosa e di Leonardo Gulotta, sospettato di concorso esterno in associazione mafiosa. Dal 16 gennaio 2023, giorno della cattura del boss di Cosa Nostra, sono 14 le persone finite in manette. Tutte accusate di aver aiutato in qualche modo il capomafia a eludere controlli e procedere indisturbato nella sua latitanza. Di queste, quattro persone sono già state condannate. Nuovo blitz dei Carabinieri contro la rete di fiancheggiatori del boss mafioso Matteo Messina Denaro, arrestato dopo 30 anni di latitanza il 16 gennaio del 2023 e morto alcuni mesi dopo.
L’architetto prestanome
In particolare Massimo Gentile, secondo gli inquirenti farebbe “parte di Cosa nostra”. L’uomo avrebbe ceduto al boss la propria identità al “fine di fargli acquistare un’autovettura e un motociclo; sottoscrivere le relative polizze assicurative, compiere operazioni bancarie ed eludere i controlli delle forze dell’ordine”. Assicurandogli in questo modo “la possibilità di muoversi in stato di latitanza sul territorio e di contribuire a dirigere il sodalizio”. Gentile, 51 anni originario di Erice (Trapani), dal 2019 è dipendente del Comune di Limbiate (Monza); dove si occupa dei procedimenti del servizio Lavori pubblici e gestisce, come lui stesso scrive sui propri profili social, alcuni progetti finanziati con il Pnrr. È cugino di secondo grado di Salvatore Gentile, boss ergastolano, sposato con Laura Bonafede; la maestra arrestata con l’accusa di favoreggiamento nei confronti dell’ex latitante. Bonafede è stata anche l’amante di Messina Denaro. Gli investigatori del Ros sono risaliti a Gentile, ritenuto un insospettabile, da un appunto su una macchina.
Dall’indagine, coordinata dal Procuratore Maurizio de Lucia, emerge che nel novembre 2014 Messina Denaro, girava per Palermo, andava in banca e si recò in una concessionaria dove acquistò un’auto, una Fiat 500 L. Il boss allora latitante versò 1.000 euro in contanti e altri 9.000 euro con un assegno circolare emesso da una filiale di Palermo, in corso Calatafimi. La firma è a nome di Massimo Gentile. L’architetto gli avrebbe prestato la sua identità anche per acquistare due anni prima una moto Bmw F650. Il tutto sempre nella zona tra Campobello di Mazara, Castelvetrano e Palermo, dove girava indisturbato.
Il tecnico radiologo che “aiutò il boss durante la degenza a Mazara”
Altro insospettabile a finire in manette è stato Cosimo Leone, tecnico radiologo. Avrebbe assicurato “al sodalizio mafioso le proprie competenze tecnico mediche, relazioni personali e possibilità di movimento all’interno di strutture sanitarie nella qualità di tecnico sanitario di radiologia medica presso l’ospedale di Mazara del Vallo; dove tra l’altro Messina Denaro è stato ricoverato da latitante dopo l’insorgenza della malattia oncologica”, dicono gli inquirenti. Secondo le indagini, nell’autunno del 2020, in pieno periodo Covid, l’allora boss latitante scoprì di avere il tumore e necessitava di una tac. La fece proprio all’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo (Trapani): usando una falsa identità e riuscendo a scavalcare la lista d’attesa. Infatti, la prima Tac era stata programmata per il 20 novembre 2020 ma fu anticipata al 17. E fatta addirittura ancora prima, il 10 novembre. Messina Denaro era stato nel frattempo ricoverato.
Omertà trasversale anche tra i medici
Leone “è stato la sponda, o almeno sicuramente una delle sponde, del latitante nell’ospedale di Mazara del Vallo (Trapani). punto di collegamento dal suo interno in un periodo in cui per le note ragioni epidemiologiche le strutture sanitarie erano letteralmente rese inaccessibili”. Lo scrive il Gip Alfredo Montalto nella misura cautelare. Il gip esclude che Leone possa essere caduto “in un ipotetico inganno artatamente costruito da Andrea Bonafede e da Messina Denaro – scrive -. Emerge con certezza che il tecnico radiologo ben conosceva il ‘vero’ Bonafede”, cioè l’uomo che ha dato la sua identità al boss durante la latitanza. Leone avrebbe infatti consegnato al boss un telefono cellulare “ricevuto da Andrea Bonafede con una scheda telefonica riservata durante la degenza post operatoria”. Per i pm sarebbe stato, per il tramite di Andrea Bonafede, “un punto di riferimento per il latitante in ordine al percorso terapeutico iniziato presso l’ospedale di Mazara del Vallo. E proseguito poi con la visita oncologica presso l’ospedale di Trapani”.
Gulotta, infine, è accusato di aver messo a disposizione di Messina Denaro, tra il 2007 e il 2017, la propria utenza telefonica per poter ricevere comunicazioni dal rivenditore della Fiat 500 acquistata sotto falso nome e dalle agenzie assicurative presso le quali erano state stipulate le polizze per la macchina e la moto comprate con l’identità di Gentile.
L’accusa dei magistrati: “Omertà trasversale anche tra i medici”
C’è una “totale omertà” che “avvolge come una nebbia fittissima tutto ciò che è esistito intorno alla figura” del boss mafioso Matteo Messina Denaro. Ma anche attorno “ai suoi contatti, ai suoi spostamenti ed alle relazioni che ha intrecciato nei lunghi anni di clandestinità”. lo si legge nell’ atto di accusa della Procura di Palermo. Per il Procuratore Maurizio de Lucia e i pm che coordinano l’indagine si tratta di una “omertà trasversale”. Che “ha precluso agli inquirenti di avere spontanee notizie anche all’apparenza insignificanti”. Gli inquirenti non nascondono la delusione di non avere avuto alcun aiuto da “medici, operatori sanitari o anche semplici impiegati di segreteria”: persone che hanno avuto dei contatti con il boss, anche a loro insaputa.
“C’è ancora una nebbia fittissima”
“Il quadro di connivenze in favore del latitante, fuori e dentro le strutture sanitarie, sta assumendo dimensioni allarmanti. E imporrà a quest’ufficio ulteriori approfondimenti”. Lo scrive nella misura cautelare il gip di Palermo Alfredo Montalto. Aggiungendo che il boss mafioso continua a essere “venerato e protetto anche dopo la sua morte”. Il che potrà portare ad ulteriori sviluppi. “Il gravissimo grado di complicità” degli arrestati “con il capo riconosciuto dalla mafia trapanese – scrive il gip – sono tutti indici che consentono di ritenere certa la conoscenza da parte dei medesimi indagati di ulteriori persone; dinamiche attinenti alla sfera più riservata e delicata della latitanza di Messina Denaro”. “L’attuale ruolo pubblico ricoperto da Massimo Gentile oltre a destare particolarmente allarme sulla capacità di Cosa nostra di espandersi anche all’interno dei centri di spesa pubblici, determina un innalzamento ai massimi livelli delle esigenze cautelari”.