L’editoriale. Salvatore del campo largo? “Not in my name”. Parola (definitiva) di Mattarella

6 Mar 2024 9:10 - di Antonio Rapisarda

Cara opposizione, vedi di cercarti un leader: parola di Sergio Mattarella. Già, l’inquilino del Colle non ne può più. Lo ha fatto capire ieri usando parole che più chiare non poteva: «Frequentemente il Presidente della Repubblica viene indicato con difformi e diverse motivazioni». Soprattutto, lo ha detto esplicitamente, da chi gli chiede in continuazione di non firmare i provvedimenti governativi. Così Mattarella ha gettato la “casacca” che in tanti a sinistra gli hanno attribuito, senza evidentemente il suo consenso, fin dal primo giorno di governo di Meloni: quella di riferimento dell’area alternativa all’esecutivo. O peggio ancora: quella del tanto agognato capo.

Mattarella ha detto “not in my name”, senza nemmeno dire grazie. Lo ha fatto rivendicando, allo stesso tempo, quel suo ruolo di arbitro ligio alla Costituzione e non di «sovrano da Statuto albertino»: una risposta non solo a Pd e 5 Stelle ma anche a certi costituzionalisti che fremono per difendere da ogni riforma istituzionale quei poteri a fisarmonica (ossia la facoltà di poter intervenire per produrre o favorire esecutivi tecnici o di unità nazionale) che hanno contraddistinto gli ultimi due settennati al Quirinale.

Tornando al fronte politico, è chiaro che nessuno dei due litiganti – più che contendenti – al ruolo di capo dell’opposizione possiede le caratteristiche per sfidare davvero Giorgia Meloni: Elly Schlein dem non è minimamente strutturata; mentre Giuseppe Conte, nonostante la sua ossessione per quello che reputa lo “scippo” di Palazzo Chigi, non rappresenta che la sua minoranza incattivita (e una quinta colonna grillina nel Pd). Davanti a questo la suggestione a sinistra di fare di una figura autorevole e dal grosso appeal popolare come Sergio Mattarella un dodicesimo uomo “in campo”, con l’obiettivo di sfiancare o ostacolare la premier, è lievitata a dismisura.

Certo, il Presidente ha le sue opinioni. E non di rado si intravedono, seppur indirettamente, i suoi giudizi: si capisce, senza girarci attorno, che la riforma presidenzialista (anche nella formula “moderata” del premierato) non gli va a genio. Ma ha fatto capire, apertis verbis, che si atterrà esclusivamente al suo ruolo di garante. E sempre fuori da ogni forma di ipocrisia, lo stesso varrebbe davanti alla contro-proposta: ossia quando da sinistra – Schlein inclusa – si ventila una soluzione alla tedesca, con il Cancellierato o qualcosa di simile. Anche lì certe funzioni del capo dello Stato verrebbero in qualche modo “stravolte”: ancora di più, per paradosso, rispetto alla formula individuata dal governo.

Il punto insomma è che Mattarella, che fra le altre cose ha un ottimo rapporto con Giorgia Meloni, non sembra avere alcuna intenzione di supplire alla scarsa campagna acquisti dell’opposizione e ad interpretare i cahiers de doléances degli editorialisti militanti. Lo ha detto in tutti i modi: agli esponenti politici, ai partner stranieri e ai giornali progressisti. Lo ha fatto difendendo il governo quando dalla Francia sono giunti inaccettabili attacchi scomposti nei confronti della premier. Lo ha fatto smentendo seccamente, con «divertito stupore», i retroscena su fantomatici lavori in corso per nuovi esecutivi tecnici. Lo ha fatto una volta per tutte – e per tutti – ieri ribadendo che il suo compito è far rispettare la Costituzione. Che non è certo fondata sul risolvere i problemi esistenziali del campo largo (o giusto? O minato? O…?).

 

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