L’editoriale. C’è un vento “europeo” che sta cambiando: distantissimo dal campo largo…

13 Mar 2024 7:59 - di Antonio Rapisarda

Nel frangente in cui gli osservatori più accorti – incrociando i flussi elettorali dopo la batosta del campo largo in Abruzzo – continuano a segnalare ad Elly Schlein la necessità di interrogarsi seriamente su come riconnettere il Pd con le aree interne e su come ricomporre la cronica frattura città/campagna, partito Ztl/periferie, ci ha pensato l’approvazione della direttiva Ue sulle “case green” a certificare come la situazione da quella parti sia ormai irrecuperabile. Dem (e grillini), infatti, solo quelli che in Italia hanno brindato alla sortita di uno dei pilastri ideologici dell’ex commissario socialista Frans Timmermans: l’ennesimo, scientifico, attacco economico al bene rifugio per eccellenza di quella maggioranza di italiani che non vive nei centri storici ed è radicata nel Paese profondo. La casa, appunto. A cui si è aggiunto il provvedimento che equipara le emissioni di una stalla a quelle delle industrie inquinanti: anche qui una misura che certifica il divorzio conclamato fra la sinistra e i ceti rurali.

Votazioni del genere – per quanto con impianti normativi fortunatamente depotenziati dalle trattative nell’Europarlamento e in Consiglio europeo – rappresentano il colpa di coda di un’Ue dirigista e figlia del fanastismo rosso-verde, destinata ad essere spazzata via l’8 e 9 giugno con un voto chiamato a certificare ciò che si sta muovendo da anni nelle viscere dei popoli europei. L’ultimo indizio di questa tendenza porta dritto a Lisbona. Ci si chiede dalle nostre parti «come mai?» in Portogallo, storico feudo delle sinistre, sia mutato il segno politico con la vittoria del centrodestra e l’avanzata dei nazional-populisti di “Chega”. La risposta è semplice e (stavolta) non retorica: il vento – a differenza di ciò che sperano le opposizioni italiane – in Europa sta cambiando davvero ma non dal campo largo. L’idiosincrasia per la gestione autoreferenziale di Bruxelles ha raggiunto il punto di pressione massimo: tanto da esprimersi persino in quelle ridotte dove i socialisti potevano vantare un pedigree di buon governo. Che ciò anche in Portogallo possa tradursi o meno in un governo di destra sul modello italiano è ancora da vedersi. Ma anche in caso di “no” non muterebbe il dato politico emerso dalle urne.

Stesso discorso in Europa, a proposito del possibile cambio di maggioranza: ossia un passaggio dal modello Grosse Koalition (larghe intese Ppe-Pse, Liberali e Verdi) alla creazione di un vero e proprio centrodestra europeo sull’esempio italiano. Il primo dato da tenere in considerazione è che la prossima Commissione europea sarà comunque di centrodestra, a differenza di quella uscente. Questo perché i commissari europei non dipendono dal risultato elettorale delle Europee ma vengono indicati dai governi in carica. E, a differenza di cinque anni fa, i governi attualmente in carica fra i 27 in Ue per la stragrande maggioranza sono di centrodestra.

Questa dinamica si comprende anche dalla mutata narrazione da parte di Ursula von der Leyen (appena indicata come spitzenkandidatin dai Popolari): se da un lato nei suoi interventi si è registrata stata una forte chiusura verso alcuni partiti sovranisti, dall’altro è evidente il condizionamento programmatico dei Conservatori e degli identitari sul Ppe. Basta confrontare le sue tesi (ripensare il Green Deal coinvolgendo le imprese, dare maggiore attenzione alla competitività dell’industria europea, maggiori investimenti in difesa) con ciò che è stato fatto in questi anni per capire come in ogni caso l’agenda della prossima Commissione si sposterà de facto a destra. Ne abbiamo avuto testimonianza anche nella gestione della protesta degli agricoltori, che ha portato la l’Ue ad annunciare alcuni significativi passi indietro sulle norme green riguardanti il settore.

Rispetto a leadership in crisi come quelle di Macron, Scholz e Sanchez, l’unico capo di governo di un grande Paese Ue con il vento in poppa è Giorgia Meloni. Tutti gli altri sono in estrema difficoltà in patria, alle prese con esecutivi deboli e instabili e la prospettiva di perdere le Europee. Un dato di fatto che rovescia quella piramide che nel bene e nel male ha cristallizzato lo status quo a Bruxelles: se fino ad ora non è mai potuto esistere un governo europeo senza la piena adesione Francia e Germania, stavolta non si potrà fare a meno dell’Italia – capofila del fronte conservatore – e del suo governo. Che sull’Europa ha un’agenda fitta-fitta di appunti…

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