Dagli “spioni”, ai mestatori, al fuoco di fila sui fidatissimi di Giorgia: non c’è trippa per gatti

5 Mar 2024 8:27 - di Antonio Rapisarda

L’incresciosa storiaccia della presunta centrale di dossieraggio politico e dell’elenco monstre degli spiati – con vittime “preferite” gli esponenti del governo e del centrodestra – assume un ulteriore aspetto inquietante. Lo scoperchiamento del vaso di Pandora su cui indaga la Procura di Perugia si colloca, infatti, in fatale continuità con il fuoco di fila che vede coinvolti – fin dall’inizio dell’avventura di governo – Giorgia Meloni e il suo staff più stretto. Ad opera di chi? Di quella nebulosa di interessi e amicizie abituati a gestire frammenti più o meno consistenti di Stato come se fosse roba loro. Lo ha esplicitato più volte la premier («Qualcuno pensava di poter continuare a dare le carte. Non è più così»); lo ha ribadito il suo braccio destro Giovanbattista Fazzolari, quando in un’intervista ha parlato di «accattonaggio molesto» nei Palazzi del potere. E da qualche tempo, guarda caso – dopo Meloni, Fazzolari e Alfredo Mantovano –, è finito sotto attacco anche il capo di gabinetto del presidente del Consiglio, Gaetano Caputi.

Chi ha dimestichezza con gli indizi e frequenta con una certa assiduità Palazzo Chigi non fatica a metterla giù così: c’è grande agitazione in certi ambienti per come Meloni sta gestendo i dossier e le funzioni. Perché? «Perché non c’è più spazio per certi affaristi e compagnia cantante», così registro nei miei appunti ascoltando l’interlocutore. Mi parla di una vera e propria «battaglia campale» in atto: da una parte chi «ha rimesso dignità dentro lo Stato», dall’altra chi era abituato ad usare lo Stato «come una mangiatoia». Lo schema sembra essere il seguente: il cosiddetto generone romano – ma anche alcune élite nazionali ben definite – non hanno accettato il nuovo sistema di rappresentanza. Di più: ne sono rimasti completamente spiazzati. A nulla, fra il serio e il faceto, sono serviti i messaggi filtrati a mezzo semi-stampa: del tipo, «i nemici non si combattono, si comprano». Ogni esecutivo, questo vorrebbe la vulgata, è sceso a compromessi. E invece con l’arrivo del governo Meloni niente da fare per costoro. Ciò lo ha mandati letteralmente in tilt.

La conseguenza? Lamentele, sbuffate e messaggi fatti filtrare nei retroscena interessati con l’obiettivo di affossare chiunque sia attorno alla premier. Anche su questo fronte non sono mancate, poi, le campagne. Basti pensare agli attacchi, tutti andati a vuoto, ad Arianna Meloni e persino alla madre della premier. Fra i protagonisti qui ancora il Domani, quotidiano che vede tre dei suoi giornalisti coinvolti a vario titolo nell’inchiesta di Cantone: parliamo dello stesso giornale che ha versato parecchio inchiostro contro Fazzolari e, ultimamente, contro Caputi.

E a proposito del corpo scelto che accompagna la premier nei dossier più complessi c’è un dettaglio (che tale poi non è) per cui un certo establishment fatica maledettamente a penetrare: né il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Mantovano, né il sottosegretario Fazzolari, né il segretario generale Deodato, né il capo di gabinetto Caputi frequentano i celebri incontri mondani della Capitale. Ossia l’ossatura in cui un certo mondo si conosce e si scambia messaggi e favori. È questa la “grande anomalia”: il sottobosco non sembra avere alcun punto di riferimento. Alcun appiglio. «Nessuna occasione per chiedere e promettere vantaggi», riflette la fonte ricordando come questa compagine «si ostini a voler rispondere ad un unico interesse»: quello nazionale. Prima di ogni considerazione politica è questa l’enorme sfida del governo Meloni. Ed è questa impostazione ad aver rovesciato schemi che sembravano ormai eterni. Un brutto risveglio per tanti.

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