Da Mattarella richiamo alla Costituzione: io arbitro, non un sovrano che può non firmare leggi sgradite
“Fortunatamente sono un presidente e non sono un sovrano” che, come ai tempi dello Statuto Albertino, firmava le leggi solo se gli piacevano. In Italia c’è oggi la repubblica, una chiarissima divisione dei poteri e non funziona più così: il capo dello Stato ha il dovere di promulgare le leggi anche se non gli piacciono o non le condivide. Così parlò Sergio Mattarella respingendo tutti coloro che intendono tirarlo per la giacca. Una precisazione di diritto costituzionale che suona come un monito a quanti lo vedrebbero volentieri non come presidente super partes ma come presidente schierato con l’opposizione.
Il capo dello Stato sfrutta l’occasione di un’udienza con la Casagit, l’assistenza integrativa dei giornalisti italiani, per una difesa della libertà di stampa, definita “fondamentale” per la tenuta della democrazia. Parole non scontate per l’attualità italiana squassata dallo scandalo degli accessi illegali a centinaia di dati personali. Forse per questo Mattarella aggiunge una sottolineatura sulla altrettanto indispensabile responsabilità della stampa a svolgere il proprio lavoro con “lealtà”. Ma non è questo il cuore del messaggio presidenziale che invece Mattarella dedica a ridefinire il proprio ruolo che sembra oggi stiracchiato a piacimento dei partiti, spesso usato strumentalmente facendo vacillare quell’immagine pubblica di “arbitro” che il presidente ha con puntiglio curato sin dall’inizio del suo primo mandato.
Ecco quindi il chiarimento necessario: “Qualche volta ho come l’impressione che qualcuno pensi ancora allo Statuto Albertino in cui veniva affidata la funzione legislativa congiuntamente alle due Camere e al re. Quando le Camere approvavano la legge, il re prima di promulgarle doveva apporre la sua sanzione, cioè la sua condivisione nel merito, perché aveva anche attribuito il potere legislativo. Fortunatamente non è più così. Il Presidente della Repubblica non è un sovrano, fortunatamente, e quindi non ha questo potere”, attacca deciso per poi spiegare da dove nasce l’esigenza di chiarire qualcosa che non avrebbe bisogno di essere chiarito. “Frequentemente il Presidente della Repubblica viene invocato con difformi e diverse motivazioni. C’è chi gli si rivolge chiedendo con veemenza: “il Presidente della Repubblica non firmi questa legge perché non può condividerla, perché gravemente sbagliata”, oppure: “il Presidente Repubblica ha firmato quella legge e quindi l’ha condivisa, l’ha approvata, l’ha fatta propria”.
“Il Presidente della Repubblica non firma le leggi, ne firma la promulgazione, che è una cosa ben diversa. È quell’atto indispensabile per la pubblicazione ed entrata in vigore delle leggi, con cui il Presidente della Repubblica attesta che le Camere hanno entrambe approvato una nuova legge, nel medesimo testo, e che questo testo non presenta profili di evidente incostituzionalità”, ricorda urbi et orbi. Perché in questo caso “si arrogherebbe indebitamente il compito che è rimesso alla Corte costituzionale”. Ancora più grave, poi, sarebbe se un presidente non promulgasse una legge perché questa non gli piace. L’equilibrio dei poteri deve essere la bussola per tutti, non solo per il Quirinale. Il monito vuole essere chiaro e, si spera lassù, definitivo: “sarebbe grave” se uno dei poteri istituzionali “pretendesse di attribuirsi compiti che la Costituzione assegna ad altri poteri dello Stato”. “La Costituzione assegna un compito, che nessun altro può sottrarre per farlo proprio”. Il mio compito fondamentale, ricorda l’arbitro, è quello di “far rispettare la Costituzione”.