“Berlinguer ti voglio bene” in tv dopo 47 anni: Benigni si esalta tra parolacce, “finocchi” e orgasmi comunisti

4 Mar 2024 14:50 - di Luca Maurelli

Noi semo quella razza, che al cinema s’intasa, pe’ vede’ donne ‘gnude e farsi seghe a casa” è una delle citazioni meno volgari, figuriamoci le altre. Ma l’omaggio al leader del Pci, Enrico Berlinguer, prosegue con altri gioielli di endecasillabi, tutti incentrati sul sesso, solo immaginato, e spesso anche sul comunismo, anch’esso solo immaginato.
Ti venissero le vene varicose all’uccello, Mario!“, è la visione del futuro che emerge dai dialoghi di un film dedicato al grande leader comunista scomparso, di cui a Roma si celebra una mostra, che torna in tv ben 47 anni dopo la sua uscita, nel 1977. “Berlinguer ti voglio bene“, di e con Roberto Benigni, andrà in onda stasera su La 7 nell’ambito di una serata che Corrado Augias dedicherà all’Enrico icona della sinistra italiana degli anni Ottanta e tuttora amatissimo in quell’area politica. Eppure, quella pellicola, intrisa di doppi sensi da caserma, parolacce e metafore sugli “orgasmi” dei comunisti, è quanto di più lontano dalla figura dello statista sardo, elegante, dialogante, per nulla propenso al turpiloquio. “Che sei scemo? per dargli un bacio sul collo ci vuole lo scalpello, trombata a presa rapida! La prossima volta vengo a ballare con la betoniera“, è un’altra delle frasi maschiliste del film che oggi avrebbero provocato (ma c’è sempre tempo…) l’indignazione della Boldrini, per non parlare degli appellativi dati agli omosessuali, definiti “finocchi” con grande disinvoltura. Furio: “Salve Cioni, che t’hai fatto? Un ti vedo troppo legittimo…”. Cioni: No nulla, problemi dell’omo moderno”. Furio: Io invece no: son buco! Son finocchio!”.
Anatema: parole che oggi vengono considerate omofobe perfino se pronunciate in un negozio di ortofrutta. Ma allora l’ipocrisia del linguaggio e del politicamente corretto non operava come una mannaia.

“Berlinguer ti voglio bene” e l’omaggio di un film che non “gli vuole bene”

Il film uscì nel 1977  e restò a lungo in sala, ma fu un flop, nonostante il richiamo di Benigni, già allora noto per le sue comparsate televisive nella “banda” di Renzo Arbore. “Berlinguer ti voglio bene” si svolge tutto nelle campagne intorno a Prato (Vergaio, che è il paese natale di Benigni, e altre località come Galciana, Mezzana, Casale, Grignano e Jolo). Il protagonista è lo sboccato Mario Cioni, l’alter ego di Benigni, molto propenso a discutere di evacuazioni fisiologiche e deiezioni, nonostante una regia autorevole di Giuseppe Bertolucci, fratello di Bernardo. Come scrive oggi Repubblica, la loro rappresentazione del comunismo “è come un orgasmo, che non arriverà: il sesso è atrofizzato, assente. In una scena al tempo stesso buffissima e tristissima Cioni usa una bottiglia di Coca-Cola nella patta per far credere a una ragazza, in balera, di essere eccitato e superdotato. L’unico sesso realizzato” nel film è l’atroce trovata di Bozzone, il solito compagno selvaggio del Cioni (l’incredibile Carlo Monni), che vuole andare a letto con la madre dell’amico…”.  Di tutto questo, stasera, parlerà Augias, che ci presenterà il film come un capolavoro. “La potenza del film – che oggi, sospettiamo, rimane inalterata, forse addirittura amplificata dal tempo – sta tutta nell’ambiguità dello sguardo. Si celebra la rivoluzione ma la si paragona all’autoerotismo. Si ama Berlinguer ma si sa che Berlinguer e il PCI non sono la soluzione. Si parla di sesso ma non lo si fa. Si sognano l’eguaglianza e la libertà ma si tengono discussioni politiche di surreale maschilismo…”, conclude la recensione del quotidiano romano. Che però lascia aperto un dubbio: è un film potente o impotente?

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