L’intervista. Mingardi: “Milei non è un populista, la sinistra non lo può vedere per le sue idee economiche”

12 Feb 2024 13:42 - di Annalisa Terranova
Milei

Javier Milei non è un populista e, anche se la sinistra internazionale lo vede come il fumo negli occhi, non è corretto neanche definirlo di destra. Lo spiega il politologo Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, demolendo la propaganda che ha attecchito anche in Italia e che tende a dipingere il presidente argentino come una minaccia, un personaggio imparentato sia con il grillismo che con il trumpismo.

Chi è veramente Javier Milei?

Io comincerei col dire questo: ci sono degli uomini politici che affrontano la lotta politica avendo come obiettivo quello di governare un paese e altri che si avvicinano alla politica con un intento un po’ missionario, con la vocazione del predicatore. Milei rientra in questa seconda categoria. Parliamo di un economista che a un certo punto della sua vita ha deciso di diventare un comunicatore, scrivendo libri e andando in tv. Ha scelto una cifra ben sintonizzata sui canoni contemporanei della comunicazione urlata. Voleva comunicare agli argentini un sistema di idee che è quello del libertarismo nella sua declinazione statunitense.

Che tipo di teoria economica sarebbe?

Il libertarismo è la visione che sostiene che per ottenere tassi di crescita superiore la chiave sia la libertà economica. Un messaggio tendenzialmente impopolare in Argentina che negli ultimi 70 anni ha avuto politiche di tipo peronista, cioè di forte intervento pubblico nel mondo della produzione.

Milei si può definire di destra?

Lui è sicuramente un liberal-libertario portato alla presidenza dell’Argentina da una coalizione di scontenti del peronismo. Tra questi vi sono anche alcuni gruppi di orientamento fortemente conservatore e altri no. E’ difficile etichettare Milei per la stessa ragione per cui il peronismo è difficile collocazione. Ha elementi di caudillismo di destra e altri di sinistra però l’avversario di Milei era appunto l’ultima incarnazione del peronismo che era fortemente populista.

Perché la sinistra lo demonizza?

Sicuramente Milei è totalmente eccentrico rispetto alle coordinate usuali della sinistra internazionale contemporanea e ha vinto le elezioni con un programma del tutto alternativo che forse non riuscirà a mettere in pratica ma che certo non può piacere ai progressisti. Alla sinistra non piace perché ha trasformato in parole d’ordine vincenti cose che i gruppi più attivi della sinistra aborrono:  privatizzazioni, denaro stabile, riduzione del debito e della spesa pubblica.

E’ un nazionalista?

Milei ha coordinate diverse. Sicuramente non è un nazionalista in economia. Vuole aprire l’economia argentina ai capitali stranieri, non farebbe mai quella che noi chiamiamo una golden power.

E’ simile a Trump?

Accostamento possibile solo dal punto di vista tricologico ma dal punto di vista politico sono figure molto diverse. Trump non fa il politico per cercare di convincere il resto del mondo della bontà delle sue idee. Milei è un uomo politico strutturato, ha la sua biblioteca di classici, ha punti di riferimento molto chiari. Di lui certo non si potrà mai dire che non ha mai aperto un libro.

Quali sono i suoi punti di riferimento?

La scuola austriaca di economia, la tradizione di Hayek,  lo spagnolo Jesús Huerta de Soto, il professor Alberto Benegas Lynch e sicuramente più di tutti Murray Rothbard, emblema del libertarismo americano.

 

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