L’intervista. Di Gregorio: “Il centrodestra tenga i nervi saldi, Meloni si metta alla prova alle europee”

27 Feb 2024 12:38 - di Antonella Ambrosioni
Di Gregorio

Luigi Di Gregorio, politologo e docente di comunicazione politica all’Università della Tuscia, ha sotto mano i dati delle elezioni in Sardegna. Smonta gli “squilli di tromba” di cui parlano la segretaria del Pd Elly Schlein e il leader del M5S Giuseppe Conte che sono in estasi per la vittoria della loro candidata Alessandra Todde. Sarà vera gloria ?  E il centrodestra quale indicazione può trarre dal risultato sardo?

Professor Luigi Di Gregorio, il centrodestra ha allontanato ogni drammatizzazione della sconfitta: un voto che non ha alcuna ripercussione sul cammino del governo, in quanto non si può considerare la  Sardegna un test nazionale. E’ d’accordo con questa lettura?

Sì, sono d’accordo. Ha votato l’1% della popolazione italiana, un terzo degli elettori della città di Roma. Non sarebbe stato un test nazionale in nessun caso. Poi certo, è prassi che chi vince lo trasforma in un risultato dal valore assoluto e che chi perde minimizza. Ma in questo caso è davvero difficile leggere il risultato come se fosse indicativo di un cambio di rotta del paese.

Conte e  Schlein si stanno sgolando e ripetono che “il vento è cambiato”. Parlano di “squillo dei tromba”, di “sveglia al governo”. Ma il cosiddetto “campo largo” ha veramente da festeggiare? Il “modello sardo” è frutto di una visione o di un insieme di sigle senza visione?

A sinistra, è la prima vittoria di un certo peso dalle politiche del 2022. E poi è un segnale che potrebbe spingere verso un’alleanza più sistematica tra Pd e Movimento 5 Stelle. Tuttavia, non vedo ripercussioni sul governo né sulla coalizione di centrodestra che in termini di voti alle liste è avanti, in Sardegna, di oltre 6 punti. Quanto alla visione comune nel “campo largo”, mi pare evidente che non ci sia, allo stato attuale. A destra c’è un popolo, da molti anni, che si muove in maniera compatta, alternando la preferenza ai leader, ma senza abbandonare il “campo”. A sinistra quel popolo ancora non c’è. Dunque, ha vinto una coalizione molto larga che tatticamente è funzionale alla vittoria. Poi governare insieme sarà un’altra storia…

Una vittoria di misura ottenuto grazie anche all’effetto del voto disgiunto non è un po’ poco per sostenere che il “vento sta cambiando?” dando una valenza nazionale a qull’1% di votanti che lei sottolineava?

Sì, appunto, è una vittoria con uno scarto risicatissimo in cui, per una volta, è risultato decisivo il voto disgiunto, il che è davvero una rarità. Tremila voti di scarto tra i candidati presidenti, con 5 mila voti di scarto tra il totale delle liste di centrodestra e i voti a Paolo Truzzu. Sarebbe bastato un voto compatto sul Presidente per ribaltare il risultato. Non vedo un vento che cambia, vedo una candidatura che non ha premiato, punita simbolicamente (e concretamente) proprio dal voto disgiunto.

Quale indicazione deve trarre il centrodestra da questo risultato?

Direi che ora per il centrodestra è importante tenere l’Abruzzo. Si vota fra due settimane e potrebbe esserci un effetto di mobilitazione sulla scia dell’entusiasmo “sardo”, a sinistra. È chiaro che il vero test nazionale sarà a giugno con le Europee, ma è altrettanto chiaro che perdere due elezioni regionali di fila comincerebbe a fare “rumore”. Teniamo anche presente che in Abruzzo ci sarà davvero il “campo largo”, nel senso che D’Amico – che sfida il Presidente Marsilio – sarà appoggiato da una coalizione che tiene dentro tutti, dal Pd al Movimento 5 Stelle, ad Azione e Italia Viva.

Il centrodestra dovrà evitare la rissa. E’ d’accordo?

Sono d’accordo e forse l’atteggiamento sulla scelta del candidato ha pesato in parte anche nell’elezione in Sardegna. Poi c’è sicuramente un ingigantimento della stampa retroscenista che amplifica eventuali frizioni, anche fisiologiche. Ma, a maggior ragione, si dovrebbero tenere i nervi saldi.

La vera prova di metà mandato sarà quella di giugno per il rinnovo del parlamento europeo. E’ così?

È assolutamente così. È l’unico voto che chiama in causa tutto il popolo italiano ed è sempre vissuto e interpretato come un test per i governi in carica, non solo in Italia. Ovviamente, prima di allora avremo anche le elezioni regionali in Abruzzo e quelle in Basilicata. Tre elezioni regionali lungo questo “cammino” possono incidere sull’opinione pubblica e segnare in qualche modo l’avvicinamento al voto di giugno. Personalmente, sono sempre più convinto – a maggior ragione dopo il voto in Sardegna – che Giorgia Meloni debba candidarsi alle europee, ma immagino che attenderà le altre due elezioni regionali per decidere.

 

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