L’editoriale. Stellantis, trattori, Ungheria: tre indizi che fanno una prova di buongoverno

15 Feb 2024 19:07 - di Antonio Rapisarda

La clamorosa inversione a U del Ceo di Stellantis Tavares, la protesta ri-orientata dei trattori (con il flop della minoranza di pasdaran smarriti al Circo Massimo) e i progressi significativi sul caso Salis. Tre indizi, nel giro di poche ore, fanno una prova di buongoverno. Registrano un metodo. Evidenziano un paradigma. È il ritorno della politica, bellezza. Frutto di una compagnia, capitanata da Giorgia Meloni e con i ministri coinvolti nei dossier Urso e Lollobrigida sugli scudi, che dimostra di conoscere in profondità l’origine della dialettica: quel “polemos, padre di tutte le cose” di cui parlava Eraclito. Perché sì, politica è “conflitto”, interessi differenti in gioco ma è la predisposizione, la visione – per chi le ha – che orientano azione e decisioni verso la cosa di tutti. A sintetizzare, superandoli, nel nome di ciò, asperità e contrasti. Ed è così, senza subire né patire ricatti ma con la leva di un mandato chiaro con cui orientarsi, che in politica si ottengono e si danno risposte.

È ciò che ha ricevuto l’esecutivo dal colosso Stellantis: l’impegno a salvaguardare la filiera italiana. Dopo le parole in libertà del manager portoghese sul futuro della produzione nel Belpaese in caso di mancati sussidi, ieri magicamente – a fronte della replica della premier e del Mimit a proposito del fondo automotive potenzialmente destinato a incoraggiare, in tal caso, nuovi insediamenti e soggetti produttivi – alle minacce si è sostituita la poetica che ricorda il miglior Rino Gaetano: con il governo, musica e testo di Tavares, “lavoriamo mano nella mano”.

Sull’altro fronte, quello dei dolori del mondo agricolo, la rassicurazione sull’esenzione dell’Irpef, sintomo periferico di un problema situato a Bruxelles, è giunta da Palazzo Chigi, dal ministero dell’Agricoltura e dalla maggioranza. Ecco il risultato: gli irriducibili al Circo Massimo si contavano in poche centinaia. A dimostrazione che le istanze di un intero comparto sono state non solo ascoltate ma interpretate coi fatti. La piazza reale, tutt’altro che un essere irrazionale, comprende benissimo e si è incanalata verso il vero nemico della desertificazione agricola: l’agenda Timmermans.

Segnali importanti, infine, sono giunti pure dall’Ungheria con l’accelerazione del processo di Ilaria Salis. Segno tangibile che l’attività di Palazzo Chigi e della Farnesina con gli interlocutori magiari (senza strali e invasioni di campo ma con pressioni calibrate e ben formulate) ha creato quel clima necessario per fluidificare la vicenda – comunque si concluderà – verso il percorso degli accordi comunitari.

Morale? La conferma di una compagine governativa che non teme il confronto, anche aspro e serrato: perché in sintonia con il battito popolare. Certo, ciò significa possedere e soprattutto disporre soluzioni. Rispettivamente, una politica industriale contro gli aedi della decostruzione. Un terreno – in tutti i sensi – su cui sviluppare la propria sovranità alimentare. La volontà di non far sentire solo nessun italiano nel mondo: che deve però contemplare anche il saper liturgicamente rispettare la giurisdizione altrui. Per ottenere ciò è necessaria un’inesauribile fonte di ispirazione. E l’interesse nazionale, si sa, è un carburante nobile.

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