L’editoriale. E sul terzo mandato il Pd si è ridotto in un campo di Agramante
E così anche in Sardegna il campo largo se c’è non si vede. Avrebbe dovuto prendere il via, secondo gli ispiratori, dalle magre consolazioni per i giallorossi dell’ultimo anno e mezzo: prima da Verona, poi da Vicenza, poi ancora dopo da Foggia. Niente da fare. Il capoluogo sardo, Cagliari, sembrava l’occasione buona ma ancora una volta – per espressa volontà della stessa candidata governatrice Alessandra Todde (e, sotto sotto, per i perfidi calcoli di Giuseppe Conte) – questa intesa fra i leader di Pd e 5 Stelle nessuno la vedrà arrivare.
La novità, però, è che nel frattempo proprio il Pd si è trasformato in un campo di Agramante. Tutti contro tutti. I tafazzi del giorno, infatti, sono Elly Schlein e i suoi incapaci persino ad approfittare della divaricazione – parlamentarizzata, senza conseguenze – del destra-centro sul caso del terzo mandato per i presidenti di Regione. Il risultato? A scatenare i peggiori malumori non è stato, come teorizzavano certi retroscenisti, il bivio che ha separato FdI e Forza Italia da un lato e la Lega dall’altro sulla questione che ha infiammato di punto in bianco il Carroccio.
La vera lacerazione, con tanto di sollevazione della minoranza, è stata tutta interna al Partito democratico. Ancora una volta, infatti, la leader del Nazareno non ha saputo indirizzare il suo partito. Schlein era partita per il “no” al terzo mandato: tutta intenta così, con l’occasione, a fare piazza pulita dei cacicchi locali. Aria nuova, dunque? Macché. La pressione dei cacicchi di cui sopra – a partire da Vincenzo De Luca – e dei sindaci (gli unici portatori di voti da quelle parti) ha aperto senza troppa fatica una breccia.
Risultato? Si era deciso allora – in pieno stile Nazareno – di non decidere. Una tautologia tramutatasi però nell’ennesimo autogol quando in Commissione Affari Costituzionali la delegazione dem ha scelto, infine, di votare “no” al terzo mandato per i governatori. Una decisione che ha mandato su tutte le furie il capo della minoranza Stefano Bonaccini ma anche tutto il fronte degli amministratori locali (capitanati da Antonio Decaro) che hanno fatto filtrare lo sconcerto per l’unanimità infranta sull’accordo raggiunto in Direzione nazionale.
E così, stazione su stazione, per Elly Schlein guidare il Pd rappresenta un calvario: un campo di dolore. Sui temi etici (con i cattolici in subbuglio contro la segretaria sul caso Bigon), sulla sua candidatura alle Europee (osteggiata da quasi tutta la nomenclatura), sulle candidature che lei stessa vorrebbe a Bruxelles (nessun governatore o sindaco di peso ha risposto al suo appello), sulla politica estera e – da adesso – pure su un problema che, ragion tattica insegna, poteva restare tutto nel perimetro del centrodestra: il terzo mandato per i governatori. Morale? La linea della segretaria continua ad essere impalpabile. Proprio come il campo largo: se c’è non si vede.