Torna al cinema Il Cacciatore. Film cult della destra: esaltò la comunità, l’amicizia, la tradizione

21 Gen 2024 19:40 - di Riccardo Arbusti
Il cacciatore

Domani lunedì 22 gennaio nei cinema italiani torna per tre giorni Il cacciatore in versione restaurata, il grande film di Michael Cimino del 1978. Cinque Oscar e un Golden Globe l’anno successivo per un capolavoro che incise profondamente nell’immaginario. Tre ore di grande spettacolo, in tre atti, che segnarono il passo con quei volti indimenticabili: Robert De Niro, Cristopher Walken, Meryl Streep e John Cazale.

La pellicola contestata in Italia

Quando, il 27 febbraio 1979, arrivava in Italia la pellicola venne anche contestata da qualche facinoroso davanti alle sale per aver osato descrivere i vietcong nelle vesti dei cattivi, segno anche questo della discontinuità rispetto ad alcuni film precedenti che provarono a raccontare la guerra del Vietnam. Ma anche per questo la locandina di The Deer Hunter (titolo originale) divenne un must per i giovani che in quel giro di boa tra due decenni stavano archiviando miti e slogan degli anni ideologici a senso unico.

Il cacciatore e la leggenda di Sant’Uberto

Il riferimento del titolo va direttamente alle battute di caccia al cervo che vedono impegnati un gruppo di amici che vivono nella cittadina di Clairton in Pennsylvania, alcuni dei quali appartenenti alla comunità russo-americana. Ma anche nella caccia, spiega Mike/De Niro all’inizio del film, c’è un codice cavalleresco: una sola pallottola, se no non è leale. Come nella tradizione medievale, il cervo andava affrontato ad armi pari e andava eventualmente ucciso con un solo colpo, in quanto si è consapevoli di voler instaurare una sorta di parità tra sé e l’animale, che possiede come unica difesa le corna e la fuga. Evidente il riferimento a Sant’Uberto e alla leggenda medievale in cui nell’iconografia tra le corna del cervo appare una croce

Un grande affresco all’insegna della comunità e dell’amicizia

Il primo atto del film è una straordinaria ricostruzione dei festeggiamenti di un matrimonio della comunità russo-ortodossa, con tanto di partecipazione comunitaria e riti tradizionali. I tre amici, operai nell’acciaieria locale, sono Michael “Mike” Vronsky, Nikanor “Nick” Chevatorevich e Steven Pushkov. Steven, il più timido e impacciato, sta per convolare a nozze con l’amata Angela. Mike e Nick amano invece la stessa donna, Linda, che, a causa di un padre violento e alcolizzato, si trasferirà nella loro abitazione dopo la loro partenza. Alla fine della lunga festa per il matrimonio di Steven e Angela – durante la quale Nick chiede la mano di Linda, la quale accetta – Nick chiede a Mike di fargli una promessa: in nessun caso egli dovrà abbandonarlo. Il giorno dopo i cinque, senza Steven, partono per la caccia e, dopo scherzi e discussioni, Michael abbatte un cervo, uccidendolo con “un colpo solo” come egli suole cacciare, ovvero con un solo proiettile in modo da dare al cervo la possibilità di sopravvivere. È un grande affresco all’insegna della comunità, dell’amicizia, della tradizione…

Le ferite e i traumi della guerra

Il secondo atto è tutto in Vietnam, dove i tre vanno chiamati per compiere il loro dovere in armi da cittadini americani. Fatti prigionieri dai vetcong, i tre debbono sottostare alla tortura della roulette russa. Mike e Steven riusciranno a rimpatriare ma il primo traumatizzato psicologicamente e il secondo perde l’uso delle gambe. Nick, invece, non riesce e resta a Saigon ostaggio dei locali in cui si scommette con la roulette russa… Sarà Mike a voler tornare in quell’inferno per salvarlo e riportarlo dagli amici.

Il cacciatore ribalta la vulgata di Brecht

Nel terzo atto del film, i reduci tornano con tutte le loro ferite e i loro traumi alla vita comunitaria. Hanno conosciuto l’orrore e il sangue, c’è chi ha perso l’uso delle gambe, chi è impazzito, chi è preda dell’angoscia. Mike ha però riportato in Patria la salma di Nick, il cui funerale è seguito da tutti i loro amici e, durante il ricevimento nel bar di John, l’atmosfera è dimessa e silenziosa: ognuno porta in sé il proprio fardello di sofferenze. Mossi dalla commozione, tutti insieme, gli amici, cantano in coro “God bless America”. Nessuna recriminazione, nessuna politicizzazione, nessun rimpianto… L’orrore del Vietnam è come la caccia al cervo, il reduce è e resta un cacciatore. E la guerra gli ha insegnato qualcosa in più: è soltanto il destino che sancisce la vittoria o la rovina dell’uno o dell’altro. Entrambi, l’uomo e il cervo, vivono sotto lo stesso cielo, e per entrambi si compie un destino inenarrabile in quella che è la tragedia cosmica della vita. Ma in questo scenario ciò che conta sono l’amicizia, gli affetti, la comunità, il senso del dovere, l’eroismo… Tutta un’altra storia rispetto alla vulgata brechtiana andata in voga (anche nel cinema) per tutti gli anni Settanta, quella del “beato il Paese che non ha bisogno di eroi”.

 

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