L’intervista. Zazza: il premierato esalta il ruolo del Parlamento, basta guardare alla storia inglese

4 Nov 2023 13:11 - di Vittoria Belmonte
premierato

Roberto Zazza, avvocato, giurista e membro del Cnel, da tre anni guida il dipartimento riforme istituzionali di FdI. Giudica in parte strumentali le critiche che sono piovute sul progetto di riforma teso a introdurre il premierato in Italia e in parte le ritiene frutto di ignoranza della materia.

La premier Meloni ha parlato del premierato come di “madre di tutte le riforme”. E oggi Repubblica scomoda Giuliano Amato per fargli dire che questa riforma stravolgerebbe l’impianto parlamentare della Repubblica. E’ davvero così?

Il premierato invero esalta il ruolo del Parlamento come insegna la storia inglese, ma malgrado l’aiuto della AI il pluridecorato professor Amato dimentica che già nel dibattito della Costituente lo stesso Calamandrei ebbe a criticare l’ottica parlamento-centrica della Repubblica. Allo stato attuale, in virtù della diffusa disintermediazione è evidente la crisi non solo dei partiti ma anche degli elettori. Non casualmente, il progetto prevede un premio di maggioranza.

Le critiche principali riguardano il ruolo del Capo dello Stato. E’ davvero ridimensionato da questa riforma?

Certamente, ma questo funziona benissimo anche nel cancellierato tedesco. Occorre però evidenziare che nell’attuale Costituzione materiale, come direbbe Mortati, il Capo dello Stato, da molti molti anni, è esondato dalla sua dimensione di garante per diventare un vero e proprio player. Il ruolo del Capo dello Stato viene ricondotto a vero garante secondo la previsione della Costituzione del ’48.

Infine c’è chi grida all’allarme “bonapartismo”. Lo ha detto Enzo Cheli, già vicepresidente della Consulta. Che ne pensa, critiche strumentali?

Più che critiche strumentali sono sciocchezze. Il bonapartismo ha per presupposto metapolitico l’acquisizione di un potere di natura militare e come forma di governo una leadership autoritaria fondata sul populismo, il militarismo e il conservatorismo. Quanto al populismo gli esiti elettorali ne certificano l’insostenibilità. Del militarismo non mi pare che vi sia traccia considerando tutti i richiami alla necessità della pace da parte della presidente Meloni e il rispetto dei trattati internazionali che ci legano a strutture di natura prettamente difensiva. Quanto al conservatorismo senza scomodare Scruton basterà citare un recentissimo testo di Invernizzi e Sanguinetti (Conservatori, ed. Ares) che evidenziano come il conservatorismo sia una legittima famiglia politica ampiamente diffusa in tutta Europa. La parola secondo i critici sottende un passatismo velleitario mentre secondo Prezzolini il conservatore è l’uomo del dopodomani. La differenza con i cultori del progresso lineare e continuo sta nel non dimenticare le proprie radici e quelle della propria comunità, riconoscendo anche l’importanza di un credo religioso. La storia moderna ha già spazzato via le illusioni del 1789 mentre sembrano assai improbabili i fantasmi del 1870.

Il governo Meloni aveva avviato consultazioni sulla riforma costituzionale: questo metodo di dialogo non ha avuto frutti. Le posizioni sono le solite: la sinistra su posizioni fortemente conservatrici e la destra che non trova dissacrante cambiare la Costituzione. Sarà possibile modificare questo quadro?

Il metodo del dialogo va sempre privilegiato ed è da perseguire finché possibile, poi, come sempre, se si vogliono evitare melasse inefficaci occorre decidere e in democrazia si decide con i voti anche referendari. Certamente non è dissacrante cambiare la Costituzione perché malgrado la sua rigidità e complessità giuridica questa è ormai di fatto ampiamente cambiata con evidente prevalenza della “Costituzione materiale”. Valgano alcuni esempi. Il sistema economico costituzionale è tacitamente passato da economia sociale di mercato a liberismo con buona pace anche in violazione dell’art. 41 della Costituzione. Il Presidente della Repubblica è ampiamente esondato e il Parlamento è certamente in crisi, ma questo non è certamente imputabile alla destra vista l’incapacità dello stesso di eleggere un Presidente della Repubblica e la capacità invece di affidarsi a governi tecnici o, peggio, marcatamente populisti. Modificare questo quadro? Direi che è assolutamente necessario e che è doveroso tentare e sono fiducioso che si possa giungere a un positivo risultato anche se sarà una battaglia politica di lunga durata.

Ultima domanda: c’è già chi vorrebbe replicare il modello Renzi. Meloni si dimette se la riforma non passa al referendum. Ha ragione la premier a dire che resterà al suo posto in ogni caso?

Renzi aveva troppo personalizzato la sua battaglia e quindi correttamente si è dimesso. La Presidente Meloni non mi pare che lo abbia fatto, scindendo la dimensione politica dall’urgenza istituzionale. Se dovesse perdere l’inevitabile referendum sarà la situazione del momento a consigliare l’appello al popolo che in ogni caso resta sovrano per confermare o meno la fiducia.

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