Non c’è futuro di pace per il Medio Oriente senza una rivoluzione culturale tra i bambini arabi
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Fingere di cambiare il mondo. Loro crescono così. Ogni giorno, nel solco della rivendicazione della loro cultura e della loro fede. Ogni giorno, ciò che vedono intorno, non è altro se non l’esaltazione del loro essere arabi, musulmani, palestinesi, oppressi, offesi, reclusi, defraudati. Crescono così, ogni giorno, educati a difendere quel che sono ma soprattutto a guardare con distanza lo straniero, affermando subito, senza perder tempo, che loro sono li a difendere ciò che sono ancor prima di accoglierti a casa loro. Crescono così i bambini in Medio Oriente, tra Cisgiordania, Libano e Siria. Crescono educati a temere il nemico, che è sempre l’occidente ed Israele. Non è solo uno scontro tra civiltà e culture quindi, è soprattutto una distanza incolmabile tra due mondi troppo distanti per affiancarsi. Se mai, posti lungo la stessa direttrice, non possono afre altro che scontrarsi frontalmente. Quello che accade ogni qualvolta si prova a far cambiare posizione e allocazione. Non è neppure tanto complicato comprendere che tutto questo non può cambiare.
L’educazione dei bambini alla guerra come normalità
Alla fin fine da oltre duemila anni non abbiamo fatto altro che tentare gli uni di colonizzare gli altri; mai abbiamo cercato davvero di convivere e conoscerci; integrarci e contaminare il nostro essere con l’altro. Israeliani e palestinesi; ebrei e musulmani. Gli uni e gli altri. Ricchi e poveri. Tecnologia e arretratezza. Fionde e pietre contro razzi e Iron Dome. Due mondi nella stessa galassia, null’atro. Loro crescono così, i bambini. Ed è questo il punto della questione. Il mondo lo possiamo cambiare, se mai fosse possibile, solo educando ed indicando la strada nuova a chi verrà dopo di noi. Insomma consegnare l’impegno a coloro che verranno ad andare oltre ciò che non siamo stati capaci di fare noi, ecco cosa da speranza per il futuro. Ma se i nostri bambini vengono educati a ciò che noi siamo, a quei principi irrinunciabili a cui ci appelliamo sempre, pur di non ammettere che siamo in errore, allora la speranza è già morta.
Come possiamo immaginare di mettere sullo stesso piano un bambino norvegese, cresciuto ogni giorno, nell’indottrinamento del rispetto dell’ambiente, delle politiche ecologiste, del benessere economico per poter contare su tutto ciò che serve per vivere come si desidera, con un bambino nato e cresciuto in Palestina o in Libano, o in Siria, che da quando è nato non ha visto altro che distruzione intorno a sé; che ogni giorno deve capire come e dove trovare qualcosa da mangiare. Che veder morire amici di giochi, o adulti dilaniati, non è nulla di straordinario se non ciò che si conosce benissimo. Bambini che vengono indottrinati solo nell’esaltare la difesa di ciò che sono guardando con distanza e diffidenza lo straniero, l’occidentale sinonimo di nemico e di aggressione. Ecco cosa non vogliamo comprendere noi altri occidentali. Ciò che non conosciamo perché è troppo distante da quel che siamo. Questo impedisce di trovare una via di dialogo, se mai esiste, tra due mondi che in comune hanno purtroppo solo la stessa galassia, ma null’altro.
La rivoluzione culturale è più pericolosa di quella militare
Il mondo islamico intanto lo vede lo conosce e lo teme anche il nostro modello di vita. Alimenta con la repressione e la violenza l’argine di contaminazione tra i due mondi, è ciò che accade in Iran in modo plateale, ma in ogni altro luogo del mondo islamico. Perché il modello occidentale di vite libere, ai loro occhi, appare non più controllabile e gestibile dal potere consolidato. E’ quella rivoluzione culturale che noi altri abbiamo già vissuto alla fine del Medio Evo, ma che è costata comunque lacrime, sangue e vite bruciate, non dobbiamo dimenticarlo. Perché le rivoluzioni culturali fanno più paura di quelle militari, semplicemente perché a quelle culturali, una volta avviate, non si può più mettere argine.
Lo sanno bene i cinesi che nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 video perire le vite di centinaia di studenti e lavoratori uccisi a Pechino, in piazza Tienanmen dall’Esercito di Liberazione Popolare. Una rivoluzione culturale repressa con la violenza. E’ ciò che fanno i Talebani in Afghanistan, impedendo che la rivoluzione culturale che conduce al diritto di vivere anche per le donne, prenda vita. Quello che fanno in Arabia Saudita ed in Qatar, nel silenzio di noi altri occidentali che in questo caso badiamo solo agli affari e agli interessi economici che con questi due Paesi possiamo concludere. E’ ciò che fa la Russia, reprimendo con il carcere e gli omicidi ogni forma di dissenso. Non lo si cambia il mondo se non si educano coloro che seguiranno alla ricerca del dialogo e della convivenza. Noi, è chiaro, il mondo non lo vogliamo cambiare, fingiamo solo di volerlo.