«Federico Fellini aveva intuito la catastrofe culturale»: il ricordo di Nicola Piovani
Il 31 ottobre saranno passati trent’anni dalla morte di Federico Fellini ma il ricordo del grande maestro è ancora vivido nelle parole del premio Oscar Nicola Piovani che lo condivide in un’intervista a Walter Veltroni per il settimanale “Oggi”, in edicola. «Era una persona di grande dolcezza. Quando si pensa ai geni, ai maestri, si immaginano persone bizzose, capricciose, lontane. Lui era scherzoso, affabile, inclusivo».
«Federico Fellini non aveva nulla di scorretto»
«Ho conosciuto tanti grandi artisti per incontrare i quali era necessario sorpassare la montagna del loro Ego. Lui, che avrebbe potuto permetterselo, era il contrario. Era solare, non aveva nulla di maudit, di maledetto, o di scorretto», racconta il compositore e direttore d’orchestra. Il rapporto professionale con il regista si è presto trasformato in un’amicizia che è durata fino alla fine. «Aveva la capacità di sorridere anche della morte. Mi chiedeva se fossi curioso di sapere come va a finire la vita. Io gli dicevo che, in ogni caso, era meglio pazientare».
Quel giorno al funerale del Maestro
Ed era stato Piovani a scegliere la musica per il funerale del Maestro: «Quel giorno, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, ho cercato di tenere un tono leggero, non melodrammatico, come sarebbe piaciuto a lui. Ma ho avuto un crollo, forte, quando la bara mi è passata davanti e ha imboccato l’uscita della chiesa, sulle magiche note di Nino Rota». Piovani scardina anche alcuni luoghi comuni su Fellini, come il fatto che fosse legato ai medesimi luoghi narrativi: «Per me la sua grandezza era che non replicava mai sé stesso. È vero il contrario. Mi ha dato lezioni gigantesche, anche nella vita privata».
Federico Fellini, il suo non era solo un cinema poetico
«Ogni tanto arrivava qualche americano che gli proponeva di fare dei film con i nanetti, con il clown bianco, col circo. Lui rispondeva, con quel tono flautato: “Bellissimo progetto. Ma l’ho già fatto”. Cercava sempre di stupirsi». Una sola cosa turbava Fellini, racconta Piovani: «Della politica diceva che era una scienza che non sapeva maneggiare, ma osservando la dimensione culturale, quella che dovrebbe ispirare la politica, lui vedeva una catastrofe che si stava realizzando. Il suo non era solo cinema poetico ma, direi in primo luogo, cinema profetico.
Avvertiva che una mutazione antropologica era in corso e ne svelava la follia, raccontandola. Ha fatto sempre così, a partire da I Vitelloni». (ITALPRESS).