Armita come Mahsa, non ce l’ha fatta: morte cerebrale. E ora 13 anni di carcere per due giornaliste

23 Ott 2023 9:26 - di Lorenza Mariani
Armita

Non ce l’ha fatta Armita Garavand: la 16enne iraniana che lo scorso primo ottobre, a causa di una lite con la sorveglianza perché non portava il velo, ha subìto un violento pestaggio in metropolitana. Per la giovane, che ha riportato un trauma cranico che l’ha ridotta in coma, secondo il sito dell’agenzia iraniana Borna «la morte cerebrale sembra certa». Quello che tutti immaginavano e temevano da tempo, ormai è un certezza. Il destino della ragazza ripercorre drammaticamente le orme di quello di Mahsa Amini: la 22enne curdo-iraniana arrestata il 13 settembre 2022 dalla polizia religiosa di Teheran a causa della mancata osservanza della legge sull’obbligo del velo, morta appena tre giorni dopo.

Armita Garavand: dichiarata la “morte cerebrale”

È stata Mahsa, deceduta sotto custodia della polizia, la prima a subire il pestaggio letale e a spegnersi sotto gli occhi del mondo sgomento, diventando il volto simbolo di una ribellione repressa nel sangue. Il nome di una piazza di giovani e di donne arrabbiati che dal settembre 2022 non smettono di gridare. E come per lei, anche per Armita Garavand, i video inchiodano il regime alle proprie responsabilità. Eppure, ancora una volta, neppure il sacrificio di giovani donne coraggiose, riesce a mettere la sordina alle piazze. Né, tanto meno, a fermare la mano del boia che si alza dopo processi che del dibattimento giudiziario in senso canonico hanno solo il nome.

Armita come Mahsa, e intanto la repressione prosegue: condanne fino a 13 anni per due giornaliste

Masha, Armita e tutte le giovani vittime di una persecuzione di regime e di una morte violenta inferta in nome della legge. Applicata nel rispetto di un oscurantismo culturale che non ammette deroghe e cambiamento, continuano a morire. A essere incarcerate. E ridotte al silenzio… Non sorprende, ma continua a scioccare e a indignare, allora, la notizia di oggi che le autorità di Teheran hanno condannato rispettivamente a 13 e 12 anni di carcere due giornaliste iraniane, Niloofar Hamedi e Elaheh Mohammadi, con l’accusa di aver collaborato con gli Stati Uniti sul caso di Mahsa Amini e di aver agito contro la sicurezza nazionale. Ancora una volta, a rendere nota l’ultima, inappellabile sentenza, è l’agenzia di stampa Irna citando il verdetto emesso da un Tribunale della rivoluzione iraniana.

La loro colpa? Aver seguito il caso Mahsa Amini…

«Hanno ricevuto rispettivamente sette e sei anni ciascuno per aver collaborato con il governo ostile degli Stati Uniti. Poi cinque anni ciascuno per aver agito contro la sicurezza nazionale e ciascuno un anno di prigione per propaganda contro il sistema», ha riferito l’Irna. Gli avvocati delle giornaliste hanno respinto tutte le accuse, mentre l‘Irna – elevando all’ennesima potenza la portata dello sfregio inferto – spiega che le sentenze possono essere appellate.

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Una foto e la presenza ai funerali della Amini i capi d’accusa

Hamedi è stata arrestata dopo aver scattato una foto ai genitori di Mahsa Amini, abbracciati in un ospedale di Teheran dove la loro figlia giaceva in coma. Mohammadi è stata invece arrestata dopo aver seguito il funerale della Amini nella sua città natale curda, Saqez, lì dove le proteste sono iniziate. L’agenzia di stampa Mizan precisa che il tempo che le due giornaliste hanno già trascorso nel carcere di Evin verrà sottratto al periodo di detenzione previsto dalla sentenza. Una magra consolazione, che nulla sconta, in realtà, all’orrore inflitto a giovani vite messe a tacere. Ridotte al silenzio con la violenza e il carcere. In nome di una legge che ammanta con il pannicello della sicurezza nazionale una furia repressiva che non accenna a placarsi.

Da Mahsa ad Armita: il mondo sgomento premia il coraggio delle donne iraniane

Un sacrificio, quello di queste coraggiose donne, a cui l’attribuzione del Nobel per la pace assegnato all’attivista iraniana in prigione Narges Mohammadi. Come il Premio Sacharov che il Parlamento europeo ha attribuito a Mahsa Amini, rappresentano riconoscimenti dal forte valore simbolico. Gesti istituzionali che rilanciano e rendono omaggio alla forza delle donne di Teheran che hanno pagato con la vita, o che stanno pagando con la prigionia, il coraggio delle loro scelte. E la determinazione a ribellarsi a un sistema coercitivo, e a norme discriminatorie, imposti con la violenza.