Omicidio Ciatti, ora è nero su bianco: per i giudici non ci fu crudeltà. Il papà di Niccolò: sconcertante

7 Set 2023 17:37 - di Lorenza Mariani
Omicidio Ciatti

Omicidio Ciatti, per i giudici della Corte d’appello di Roma – come già per i colleghi di primo grado – fu ucciso senza crudeltà. E i “futili motivi” dell’omicidio non sono dimostrabili. Sono i due punti nevralgici esplicitati nelle motivazioni alla base della sentenza che ha condannato il ceceno Rassoul Bissoultanov, latitante, a 23 anni, e non all’ergastolo, come invece aveva chiesto la Procura generale. Si legge questo, nero su bianco: e unitamente a un verdetto che ridimensiona quanto chiesto dall’accusa e alla beffa di un processo celebrato con l’imputato contumace, dispone 23 anni anziché il fine pena mai, il papà di Niccolò – pestato a morte senza un perché – non può che sentirsi deluso. Tradito. Offeso.

Omicidio Ciatti: le motivazioni della sentenza

Non a caso già a luglio scorso, quando i magistrati hanno confermato la condanna a 23 anni per il ceceno latitante, e non all’ergastolo, come aveva chiesto la Procura generale, Luigi Chiatti commentò: «Evidentemente c’è qualcosa che non va in questa giustizia, soprattutto spagnola ma anche italiana, così poco sensibile e che non ci rappresenta». Limitandosi poi a dire, sul disconoscimento delle aggravanti, quanto la decisione «non fosse un buon segnale per un ragazzo ucciso in quel modo: non è un buon precedente»… Un’amarezza e uno sconforto, quelli del genitore della vittima, che lo portarono a osservare sconsolato: «Noi ce l’abbiamo messa tutta per Niccolò, ma purtroppo non siamo riusciti e non riusciamo a dargli quel minimo di giustizia che si meriterebbe».

Dolore, amarezza e sconforto del papà della vittima: «Persa un’occasione per fare giustizia»

Oggi, alla luce delle motivazioni che spiegano la sentenza, quelle parole riecheggiano in tutto il loro potenziale esplosivo. E continuano a far deflagrare l’orrore di un omicidio e la sensazione di una giustizia che non arriva a coglierne e sanzionarne fino in fondo i segni. Così oggi, sempre il papà di Niccolò, commentando le motivazioni del verdetto, conferma ancora più dolorosamente indignazione e sgomento e dichiara: «Persa un’occasione per fare giustizia». E allora entriamo nel merito di tanto doloroso sconforto: le motivazioni della sentenza.

Omicidio Ciatti, per i giudici: non ci fu crudeltà

La crudeltà, scrivono i giudici nelle motivazioni secondo il “Tirreno” rilanciato dal sito Tgcom24, è «del tutto insussistente perché la condotta aggressiva dell’imputato, iniziata con un pugno al volto, si è esaurita con il calcio alla tempia che ha cagionato la morte del Ciatti». Pertanto, la Corte d’appello ritiene che la violenza non risulta «eccedente rispetto alla normalità causale», cioè la «volontà di uccidere». E alla vittima non sarebbero «state inflitte ulteriori e inutili sofferenze». Insomma, i massacratori del povero Niccolò Ciatti lo avrebbero ucciso, ma «senza crudeltà».

Esclusa l’aggravante dei “futili motivi” «non dimostrabili»

E ancora. Quanto ai futili motivi, per quanto i magistrati li ritengano ragionevoli, sentenziano comunque che non siano dimostrabili. E nelle motivazioni riportate dai siti sopra indicati, si legge: «Per la configurabilità di questa aggravante occorre che il movente del reato sia identificato con certezza». Ma il movente, scrivono i giudici d’Appello, «non è stato in alcun modo accertato». E spiegano che i testimoni, cioè le persone nel locale e gli amici di Niccolò, non sono stati in grado di indicare la causa del diverbio iniziale. «Precisando solo che in precedenza non vi era stato alcun contatto tra i due gruppi».

Anche sui motivi del diverbio…

Del resto, nelle motivazioni della sentenza si ammette la possibilità che «il contrasto sia avvenuto per un urto involontario o per una incomprensione tra i due, avuto riguardo allo spazio ristretto, alla folla di giovani presenti nel locale e anche, però, allo stato di ebbrezza alcolica dello stesso Ciatti e dei suoi amici». Il provvedimento precisa però che, «pur riconoscendo che la successiva condotta tenuta dall’imputato è improntata a incongrua violenza, ogni supposizione, per quanto verosimile, non è sufficiente ad integrare la contestata aggravante, in assenza di sicuri elementi di prova, idonei alla identificazione certa delle ragioni del diverbio iniziale e del movente del reato».

L’imputato era consapevole della potenzialità lesiva dei suoi atti

Eppure, sottolineano gli stessi magistrati nelle motivazioni della sentenza, sicuramente Bissoultanov – scomparso dopo la sentenza di primo grado in Spagna. E su cui pendono due mandati d’arresto europei, uno italiano e uno spagnolo – ha agito per uccidere. L’imputato, si legge nell’atto esplicativo del verdetto, «al momento in cui sferra il violento calcio alla testa, contro un corpo ormai inerme e indifeso, intende fare il più male possibile alla vittima. È ben consapevole della elevata potenzialità lesiva di tale condotta. E tuttavia, pur rappresentandosi l’evento più grave come probabile, agisce nella piena accettazione che da tale condotta possa derivare la morte del soggetto passivo». Frasi, constatazioni, e soprattutto, motivazioni di una sentenza, che ancora oggi il papà della vittima definisce «sconcertanti». Come dargli torto?

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *