Decreto Caivano e criminalità minorile: se Giorgia Meloni si ispira al gigante Dostoevskij…
“Giro di vite”, “pugno di Giorgia”: la chiamino come vogliono ma c’è una svolta del governo nel prendere di petto baby-criminali, baby-bulli, baby-pusher, baby-cattivi. Le Sorelle Agnelli dell’informazione progressista replicano con “Meloni arresta i bambini” e “Spezzeremo le reni ai ragazzini”: titoli-spazzatura che ripetono una linea ossessiva. Ragazze e ragazzi, minori: è facile accostare la decisione del governo – con la premier faccia al sole sul “decreto Caivano” – l’evocazione di termini quali “punizione” o “castigo”. E allora? La destra fa la destra. E nel “lessico famigliare”, nell’universo reale ed escatologico delle generazioni italiane, queste sono sempre state parole e immagini popolari.
“Punizione” e “castigo” da recuperare e restaurare
Ora la destra, dalla sua soffitta culturale, recupera alla guida di una Nazione emancipata e secolarizzata, due idee che aveva “conservato” dentro la propria cassapanca; non le aveva gettate nel camion della spazzatura che passa ogni giorno con autisti “woke”. No, no: erano in soffitta, che è sempre un luogo magico dove ritroviamo cose “perdute” che ci ridanno, insieme ad antichi sapori, le chiavi di lettura per riscoprire alcune verità: da sottoporre a “restauro”, certo – culturale e dialogico soprattutto – ma non da distruggere o abbandonare; perché poi ritornano. Punizione – sapete che nei vecchi statuti di camerati e compagni c’era il capo delle “punizioni” disciplinari; e nel gergo sportivo, no? – è un concetto di destra: avete paura di dirlo o di dire che, alcuni anni fa, l’avete avuta in dono pure voi da genitori e insegnanti? In “castigo” si andava a casa e a scuola. Non ne siamo morti. E ora studiosi, psicologi, psichiatri, pedagogisti ci dicono che é una dimensione necessaria per svolgere il mestiere più difficile al mondo: quello di padre, di madre; di genitori ed educatori.
Parole che mettono a disagio la gauche
Ovviamente gli “oppositori” pensano di cucire addosso a Giorgia e brothers la camicia di patriarcali, autoritari, “fasci” et cetera. Ma quei concetti sono respiratori del vivere: funzionano e “bucano” epoche e stili esistenziali. La “punizione” aiuta: la società, ma pure i “puniti”, che da adulti forse diranno grazie. Occorre procedere su due binari? Sì: sul “sociale” naturalmente, ma qui i cantori del coro non mancano. E si stupiscono che sia la destra – ora qualcuno grida che occorre una “risposta di sinistra”: è evidente, non c’è – a immettere nei quartieri marginali risorse e investimenti “solidali”; per infrastrutture, scuola, sport, cultura. Coesione sociale, aiuto alle famiglie, sostegno all’istruzione di periferia; e lotta durissima alla dispersione, fino a minacciare il carcere per padri e madri che se ne fregano dell’educazione dei bambini. Parole che mettono a disagio la gauche, entrano nei territori mentali che ha abbandonato il Pd schleinizzato e il partito di Conte inseguito dalla carica dei “110” e dei “percettori” che furono: nei governi “di prima” hanno fatto poco o niente. Ma, oltre al sociale potenziato, c’è un ritorno di severità: al “castigo” che troppo presto avevamo messo in castigo.
Bipolarismo psicologico: Crepet o Novara?
Siccome adesso Paolo Crepet et alii, “di qua”, ammoniscono e reclamano un ritorno alla genitorialità forte, ai doveri energici verso i figli – alle sanzioni penali, sì anche – le critiche alla “risposta securitaria” dell’esecutivo suonano come stantie uscite radical-chic, fuori dal senso e dal senno comune: dalla percezione dell’uomo della strada, del “cittadino al di sopra di ogni sospetto” militante; del “Paese normale” che un tempo amavano a sinistra. “Se aboliamo la pedagogia dell’autoritarismo sono il primo firmatario, ma se abroghiamo quella dell’autorevolezza mi rifiuto di firmare. L’autorevolezza è necessaria. C’è una coalizione tra pseudo-pedagogismo, pseudo psicologismo e pseudo-genitorialismo di quart’ordine”, insiste il professore. Ma poi ci sono gli anti-Crepet “ di là” – c’è un bipolarismo pure tra psicologi, che credete ? – con un Daniele Novara che scrive un libro “Punire non serve a nulla”: ritiene sia meglio il “silenzio attivo”, il rimedio del “non si parla per qualche minuto” col “minore”. Ma che ci fai col silenzio irenico quando – come dice don Patriciello – “a 17 anni sono uomini scafati” ?
Lezioni dal gigante Dostoevskij
Giusto alla cultura russa, mi dovevate spingere per ragionare. Ma come eviti un gigante qual è Dostoevskij sulla strada del male? Il castigo, amici miei. Di un romanziere-psico così immenso e immensamente conservatore; così credente, poco incline a credere ai “carri che portano pane all’umanità”; e così impareggiabile nell’ indicarci percorsi per districarci nel bosco di colpe, espiazioni, tormenti, pentimenti: l’animo di cui l’interiorità del suo immaginario e realissimo Raskolnikov è meravigliosa metafora. “Eravamo partiti dalla concezione dei socialisti. È nota: il delitto è una protesta contro l’ingiustizia dell’ordinamento sociale, niente di più; non ci sono altre cause, e basta!…Posso mostrarti i loro libri: per loro, tutto dipende dall’ ‘ambiente che corrompe’ e basta! È la loro frase preferita! Ne consegue direttamente che se si riorganizza la società, subito tutti i delitti scompariranno, perché non ci sarà più nulla contro cui protestare, e in un batter d’occhi tutti diventeranno probi. La natura non la prendono in considerazione, la natura viene cancellata, la natura non c’entra!”: Dostoevskij fa dire così, in “Delitto e castigo”, a Razumichin nella discussione con il giudice istruttore Porfìrij Petròviè e con l’amico Rodion.
Quelle parole di Dostoevskij
Ecco siamo lì ancora, nell’eterna lotta tra “ambiente” e “natura”, alle origini dei delitti. E anche della criminalità minorile. Eh sì: intervento sociale, naturalmente. Ma anche linea dura: legge e ordine; rigore, daspo, privazione della “potestà”. “Non vogliono considerarsi delinquenti e credono in fondo al loro cuore di aver avuto diritto di agire come hanno agito”, scrive ancora Fëdor ne “L’ idiota” sul tempo suo; ma quanto assomiglia al dolore della madre di Giorgio Cutolo: ”Ha ucciso mio figlio e poi è andato a giocare a carte, manco si pensava che era una puntata e dopo continuava. Ci vogliono delle pene giuste per dei ragazzi che non possono essere più chiamati ragazzi. Ha sparato e poi avrà detto ‘vediamo dopo che succede’”. Già. È una visione dostoevskijana a guidare Giorgia? Bisogna chiederlo alla premier. Se riesco, vi faccio sapere.