CERCA SUL SECOLO D'ITALIA

La Russa ha il diritto di difendere il figlio. Da papà, proprio come il papà della presunta vittima

La Russa ha il diritto di difendere il figlio. Da papà, proprio come il papà della presunta vittima

Cronaca - di Carmelo Briguglio - 10 Luglio 2023 - AGGIORNATO 10 Luglio 2023 alle 18:26

Sono tra le persone che hanno al tempo inviato dei “consilia” a Ignazio La Russa, qualche mese dopo la sua elezione a presidente del Senato. La mia idea era, – è tuttora – che il numero due tra le alte cariche dello Stato, abbia un onere che è quello della “rappresentanza”, oltre che di speaker della Camera Alta della Repubblica. E, pertanto, ovunque, trasporti se stesso – il suo “soma” – l’alta carica lo segua; non si separi cioè mai da lui: dalla sua dimensione pubblica, dal suo essere supplente del Capo dello Stato. Dal che discende tutta una serie di oneri, inclusa una limitazione alla vita di partito; e un freno ad interviste, dichiarazioni, comparsate tv; e anche alla vita privata: rapporti familiari, relazioni amicali, residue – di fatto l’avvocato non lo fa più da anni – attività professionali.

Tra sfera pubblica e privata

Cortese, come sempre, con amici e “nemici”, ha preso atto dei “buoni consigli” e ha deciso di seguire un’altra strada; di accettare le indicazioni di un’altra persona di cui si fida più del sottoscritto: se medesimo. Come spesso fa. Perché?
Perché La Russa ha una diversa visione del suo ruolo, rispetto all’idea di chi scrive. Cerco a mia volta di interpretarla da ciò che dice e fa: il Presidente ritiene di non essere sempre, ovunque e comunque il Presidente. Questa perfetta sovrapposizione di pubblico e privato, la rigetta; ritiene magari che essa appartenga a una sola figura tra le cinque massime cariche che è il Capo dello Stato: è l’unico cui incombe essere symbolum – dal suo etimo, chi o ciò che tiene insieme – richiamato dall’articolo 87 della Costituzione, in quanto é il solo che “rappresenta l’unità nazionale”. La nostra Carta esclude dagli effetti di questo onore-onere (e da altri) i presidenti delle Camere, ai quali non attribuisce particolari doveri. Costituzione alla mano ha ragione La Russa; il mio si potrebbe considerare un riflesso da Stato etico: la coincidenza perfetta tra statuale e non, ci porta, senza volerlo, dalle parti di Hegel e Gentile; più lontano da Popper, dalla società aperta e in definitiva dello Stato di diritto. Al quale ultimo sembra – a dispetto di ingannevoli apparenze – voglia ispirarsi il presidente del Senato. Il quale, in nome di una concezione liberale della società e delle istituzioni, intende la sua esposizione visibile, con gli obblighi che ne derivano, confinata nella sacralità dell’aula di Palazzo Madama. Che è lo spazio, dentro i cui argini sono esercitate le guarentigie parlamentari e le libertà democratiche, dove lui assicura imparzialità, terzietà; e capacità di tutelare lo statuto morale e politico della minoranze che, nelle democrazie stabilizzate, è uno dei principi-guida perché uno Stato di diritto sia riconosciuto tale; insomma, La Russa ritiene che i suoi compiti costituzionali ineriscano esclusivamente al ruolo di presidente d’aula neutrale e impeccabile garante delle regole che presiedono alla vita del Senato della Repubblica; il che, sia chiaro, non è poco, in un sistema bicamerale paritario qual è il nostro. Chi ha ragione, tra chi scrive e Ignazio? Non c’è dubbio: lui. Perché è lui il titolare della carica e quindi il soggetto d’imputazione di diritti e doveri, che ne deve rispondere. E’  giusto sia così. Ora, la correttezza nel “sancta sanctorum” di Palazzo Madama, nessuno gliel’ha mai contestata; per la semplice ragione che per i casi dubbi, il Presidente del Senato si é più volte espresso: fa pendere la sua decisione sempre pro opposizione e mai in favore della maggioranza. Una teoresi, seguita anche da prassi, che gli consente di godere anche tra i senatori di minoranza, di largo consenso e di rare e infondate contestazioni. Soltanto accedendo a tali “limina” che La Russa pone a se stesso, si possono comprendere alcuni suoi comportamenti; da taluni dei quali, personalmente dissento, senza poterne negare le ragioni.

Crepet e il dovere di fare il padre-capitano

Il Presidente fa una vita di partito abbastanza intensa, ma – lui vi replica – è nella scia dei suoi predecessori della Prima Repubblica: Fanfani, Spadolini, Malagodi, ad esempio, prendevano parte alle vicende dei loro mondi politici; o mi volete dire che – è il suo ragionamento – non facevano uguale i presidenti della Seconda: Nicola Mancino, Franco Marini o Renato Schifani? Difficile replicargli. Vengo all’oggi che è il vallivo concludere del mio riflettere. In questa lettura del proprio ruolo, di papà Ignazio – che ebbe un padre severo e “fascio” che lo spedì in un college svizzero a raffreddare, in studi seri, i bollenti spiriti rivoluzionari – va inserita la vicenda del figlio Leonardo Apache: Ignazio ha pensato di fare il padre, e anche un pelino l’avvocato di antico pelo. Come avrei fatto io, se mi fosse accaduto; ma io non ho ruoli pubblici, non sono avvocato ed è alquanto improbabile che succeda a La Russa sul soglio suo; personalmente avrei “interrogato” mio figlio, a modo mio; immagino il suo; piuttosto consapevole delle lezioni che ci impartisce quell’antipatico “sapiente” di Paolo Crepet: “noi genitori siamo i sovrintendenti, stiamo sopra…Il mio punto di vista è più alto, io sono il capitano i figli no…” Ecco. Anche una denuncia per stupro, dovrebbe non riguardare un padre, se il figlio – come lo è La Russa junior – è maggiorenne. Ma diciamo la verità; chi di noi avrebbe detto a suo figlio: sbrigatela da te? Se hai sbagliato, difenditi; posso pagarti l’avvocato, ma non ne voglio sapere? Chi si sarebbe comportato tra voi così? Nessuno, diciamocelo. Se sei padre, cadi nelle fortissime debolezze del padre; comunque sia e sia andata. Certo che bisogna prendere in seria considerazione la denuncia della ragazza: deve essere un giudice a stabilire se ciò che dice è vero oppure no; ma lo stesso vale per il ragazzo. A me interessa ciò che dice il padre di lei: “Se verrà dimostrato quello che racconta mia figlia, e io credo a mia figlia, lei resterà segnata per tutta la vita”. Giusto, ineccepibile. “Se…”, dice prudente. E “io credo a mia figlia”: assolutamente legittimo; è normale che un padre creda a sua figlia.

L’aula, la famiglia e il ceffone del papà-presidente

Ma non è pure lecito che Ignazio La Russa dica che dopo “averlo a lungo interrogato, ho la certezza che mio figlio Leonardo non abbia compiuto alcun atto penalmente rilevante…” ? E‘ il genitore che parla. É normale, che a sua volta, lui, creda a suo figlio? Ha diritto di farlo? Voi lo avreste fatto? E avreste detto, se sicuro, di vostro figlio: “sono certo non ha mai consumato in vita sua” sostanze stupefacenti? Avreste parlato della “forte reprimenda rivolta da me a mio figlio per aver portato in casa nostra una ragazza con cui non aveva un rapporto consolidato” ? A me pare umanissimo. E’ giusto. C’è stato un eccesso di difesa, con le valutazioni sulle dinamiche e i tempi della denuncia? Voi, non lo avreste fatto ? Dubito: io mi sarei comportato allo stesso modo, se convinto in coscienza. A maggior ragione se fossi stato un avvocato. Dite che una persona che è anche il presidente del Senato, non avrebbe dovuto? Vi dò ragione: doveva essere più prudente, più accorto; diciamola tutta: chiudersi in un furbastro silenzio; nella muta callidità. E fruire di quella dichiarazione che lasciò stupefatta la sinistra, soprattutto le donne progressiste: “Mi viene voglia di indire una manifestazione di soli uomini, per dare un segnale, per far capire che siamo noi uomini a dover prendere coscienza. Dobbiamo far capire a tutti che il femminicidio non è un problema solo di leggi o delle donne, ma piuttosto un problema legato al comportamento maschile”.

E invece Ignazio – che è fedele alla sua natura – segue la dottrina della separatezza tra sfera pubblica e proprio privato, tra aula e famiglia, tra status di papà e di presidente. Il padre ha diritto – patriarcale, “di destra” dice la Schlein: sapesse quanto di Grande Madre si nutre certa cultura di destra – di interrogare il proprio ragazzo e, se convinto, di dargli ragione; che poi è il seguito in tempi non sospetti di quando se la sparò che se un “un genitore vede il figlio che manca di rispetto a una ragazza, penso che debba tirargli un ceffone, forte. Se lo ricorderà”; suscitando ovviamente la reazioni sdegnate di anime belle ed educandi progressisti; i quali fanno finta di non capire figurazioni e contesti lessicali. Insomma, ha il diritto Ignazio di essere padre del ragazzo, quanto lo è il papà della ragazza ? Per me sì; non di più, ma neppure di meno. Voi che dite?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

di Carmelo Briguglio - 10 Luglio 2023