
La Russa ha il diritto di difendere il figlio. Da papà, proprio come il papà della presunta vittima
Sono tra le persone che hanno al tempo inviato dei “consilia” a Ignazio La Russa, qualche mese dopo la sua elezione a presidente del Senato. La mia idea era, – è tuttora – che il numero due tra le alte cariche dello Stato, abbia un onere che è quello della “rappresentanza”, oltre che di speaker della Camera Alta della Repubblica. E, pertanto, ovunque, trasporti se stesso – il suo “soma” – l’alta carica lo segua; non si separi cioè mai da lui: dalla sua dimensione pubblica, dal suo essere supplente del Capo dello Stato. Dal che discende tutta una serie di oneri, inclusa una limitazione alla vita di partito; e un freno ad interviste, dichiarazioni, comparsate tv; e anche alla vita privata: rapporti familiari, relazioni amicali, residue – di fatto l’avvocato non lo fa più da anni – attività professionali.
Tra sfera pubblica e privata
Cortese, come sempre, con amici e “nemici”, ha preso atto dei “buoni consigli” e ha deciso di seguire un’altra strada; di accettare le indicazioni di un’altra persona di cui si fida più del sottoscritto: se medesimo. Come spesso fa. Perché?
Perché La Russa ha una diversa visione del suo ruolo, rispetto all’idea di chi scrive. Cerco a mia volta di interpretarla da ciò che dice e fa: il Presidente ritiene di non essere sempre, ovunque e comunque il Presidente. Questa perfetta sovrapposizione di pubblico e privato, la rigetta; ritiene magari che essa appartenga a una sola figura tra le cinque massime cariche che è il Capo dello Stato: è l’unico cui incombe essere symbolum – dal suo etimo, chi o ciò che tiene insieme – richiamato dall’articolo 87 della Costituzione, in quanto é il solo che “rappresenta l’unità nazionale”. La nostra Carta esclude dagli effetti di questo onore-onere (e da altri) i presidenti delle Camere, ai quali non attribuisce particolari doveri. Costituzione alla mano ha ragione La Russa; il mio si potrebbe considerare un riflesso da Stato etico: la coincidenza perfetta tra statuale e non, ci porta, senza volerlo, dalle parti di Hegel e Gentile; più lontano da Popper, dalla società aperta e in definitiva dello Stato di diritto. Al quale ultimo sembra – a dispetto di ingannevoli apparenze – voglia ispirarsi il presidente del Senato. Il quale, in nome di una concezione liberale della società e delle istituzioni, intende la sua esposizione visibile, con gli obblighi che ne derivano, confinata nella sacralità dell’aula di Palazzo Madama. Che è lo spazio, dentro i cui argini sono esercitate le guarentigie parlamentari e le libertà democratiche, dove lui assicura imparzialità, terzietà; e capacità di tutelare lo statuto morale e politico della minoranze che, nelle democrazie stabilizzate, è uno dei principi-guida perché uno Stato di diritto sia riconosciuto tale; insomma, La Russa ritiene che i suoi compiti costituzionali ineriscano esclusivamente al ruolo di presidente d’aula neutrale e impeccabile garante delle regole che presiedono alla vita del Senato della Repubblica; il che, sia chiaro, non è poco, in un sistema bicamerale paritario qual è il nostro. Chi ha ragione, tra chi scrive e Ignazio? Non c’è dubbio: lui. Perché è lui il titolare della carica e quindi il soggetto d’imputazione di diritti e doveri, che ne deve rispondere. E’ giusto sia così. Ora, la correttezza nel “sancta sanctorum” di Palazzo Madama, nessuno gliel’ha mai contestata; per la semplice ragione che per i casi dubbi, il Presidente del Senato si é più volte espresso: fa pendere la sua decisione sempre pro opposizione e mai in favore della maggioranza. Una teoresi, seguita anche da prassi, che gli consente di godere anche tra i senatori di minoranza, di largo consenso e di rare e infondate contestazioni. Soltanto accedendo a tali “limina” che La Russa pone a se stesso, si possono comprendere alcuni suoi comportamenti; da taluni dei quali, personalmente dissento, senza poterne negare le ragioni.
Crepet e il dovere di fare il padre-capitano
Il Presidente fa una vita di partito abbastanza intensa, ma – lui vi replica – è nella scia dei suoi predecessori della Prima Repubblica: Fanfani, Spadolini, Malagodi, ad esempio, prendevano parte alle vicende dei loro mondi politici; o mi volete dire che – è il suo ragionamento – non facevano uguale i presidenti della Seconda: Nicola Mancino, Franco Marini o Renato Schifani? Difficile replicargli. Vengo all’oggi che è il vallivo concludere del mio riflettere. In questa lettura del proprio ruolo, di papà Ignazio – che ebbe un padre severo e “fascio” che lo spedì in un college svizzero a raffreddare, in studi seri, i bollenti spiriti rivoluzionari – va inserita la vicenda del figlio Leonardo Apache: Ignazio ha pensato di fare il padre, e anche un pelino l’avvocato di antico pelo. Come avrei fatto io, se mi fosse accaduto; ma io non ho ruoli pubblici, non sono avvocato ed è alquanto improbabile che succeda a La Russa sul soglio suo; personalmente avrei “interrogato” mio figlio, a modo mio; immagino il suo; piuttosto consapevole delle lezioni che ci impartisce quell’antipatico “sapiente” di Paolo Crepet: “noi genitori siamo i sovrintendenti, stiamo sopra…Il mio punto di vista è più alto, io sono il capitano i figli no…” Ecco. Anche una denuncia per stupro, dovrebbe non riguardare un padre, se il figlio – come lo è La Russa junior – è maggiorenne. Ma diciamo la verità; chi di noi avrebbe detto a suo figlio: sbrigatela da te? Se hai sbagliato, difenditi; posso pagarti l’avvocato, ma non ne voglio sapere? Chi si sarebbe comportato tra voi così? Nessuno, diciamocelo. Se sei padre, cadi nelle fortissime debolezze del padre; comunque sia e sia andata. Certo che bisogna prendere in seria considerazione la denuncia della ragazza: deve essere un giudice a stabilire se ciò che dice è vero oppure no; ma lo stesso vale per il ragazzo. A me interessa ciò che dice il padre di lei: “Se verrà dimostrato quello che racconta mia figlia, e io credo a mia figlia, lei resterà segnata per tutta la vita”. Giusto, ineccepibile. “Se…”, dice prudente. E “io credo a mia figlia”: assolutamente legittimo; è normale che un padre creda a sua figlia.
L’aula, la famiglia e il ceffone del papà-presidente
Ma non è pure lecito che Ignazio La Russa dica che dopo “averlo a lungo interrogato, ho la certezza che mio figlio Leonardo non abbia compiuto alcun atto penalmente rilevante…” ? E‘ il genitore che parla. É normale, che a sua volta, lui, creda a suo figlio? Ha diritto di farlo? Voi lo avreste fatto? E avreste detto, se sicuro, di vostro figlio: “sono certo non ha mai consumato in vita sua” sostanze stupefacenti? Avreste parlato della “forte reprimenda rivolta da me a mio figlio per aver portato in casa nostra una ragazza con cui non aveva un rapporto consolidato” ? A me pare umanissimo. E’ giusto. C’è stato un eccesso di difesa, con le valutazioni sulle dinamiche e i tempi della denuncia? Voi, non lo avreste fatto ? Dubito: io mi sarei comportato allo stesso modo, se convinto in coscienza. A maggior ragione se fossi stato un avvocato. Dite che una persona che è anche il presidente del Senato, non avrebbe dovuto? Vi dò ragione: doveva essere più prudente, più accorto; diciamola tutta: chiudersi in un furbastro silenzio; nella muta callidità. E fruire di quella dichiarazione che lasciò stupefatta la sinistra, soprattutto le donne progressiste: “Mi viene voglia di indire una manifestazione di soli uomini, per dare un segnale, per far capire che siamo noi uomini a dover prendere coscienza. Dobbiamo far capire a tutti che il femminicidio non è un problema solo di leggi o delle donne, ma piuttosto un problema legato al comportamento maschile”.
E invece Ignazio – che è fedele alla sua natura – segue la dottrina della separatezza tra sfera pubblica e proprio privato, tra aula e famiglia, tra status di papà e di presidente. Il padre ha diritto – patriarcale, “di destra” dice la Schlein: sapesse quanto di Grande Madre si nutre certa cultura di destra – di interrogare il proprio ragazzo e, se convinto, di dargli ragione; che poi è il seguito in tempi non sospetti di quando se la sparò che se un “un genitore vede il figlio che manca di rispetto a una ragazza, penso che debba tirargli un ceffone, forte. Se lo ricorderà”; suscitando ovviamente la reazioni sdegnate di anime belle ed educandi progressisti; i quali fanno finta di non capire figurazioni e contesti lessicali. Insomma, ha il diritto Ignazio di essere padre del ragazzo, quanto lo è il papà della ragazza ? Per me sì; non di più, ma neppure di meno. Voi che dite?