John Fante 40 anni dopo: la sua lezione di anticomunismo e anticonformismo ricordata in un convegno
Quaranta anni fa, l’8 maggio 1983 moriva a Los Angeles lo scrittore John Fante uno tra i maggiori autori della letteratura italo-americana, un anticonformista, un anticomunista. Ieri pomeriggio alla Camera la sua figura e la sua opera sono state al centro del convegno “John Fante e la strada per l’Italia. Identità, discendenza e appartenenza nell’opera di John Fante, tra l’Abruzzo e il Colorado” promosso dall’on. Alessandro Amorese, capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Cultura e che ha visto confrontarsi un docente universitario come Marco Leonardi, un giornalista come Luciano Lanna e un attore-regista come Stefano Angelucci Marino, saggiamente cooordinati e pungolati da Sandro Solinas.
Un omaggio a un autore che ha vissuto due stagioni di notorietà come romanziere, alla fine degli anni Trenta con “Aspetta primavera Bandini” e “Chiedi alla polvere”, e la seconda negli anni Ottanta quando è stato riscoperto da Charles Bukowski che lo ha definito il “narratore più maledetto d’America”. Ne apprezzava “la purezza, il prodigio emotivo”, l’energia che si sprigionava in ogni pagina e il “rincorrersi di dolore e ironia”, spingendo il suo editore a ripubblicarne le opere e a stampare postumi anche un paio di romanzi inediti come “La strada per Los Angeles” e “Un anno terribile”.
La sua biografia e il suo rapporto con l’Italia (il padre, un muratore di origini abruzzesi di Torricella Peligna (Chieti), emigrato negli Usa e vissuto a Denver nel Colorado, e la madre nata in America da emigrati lucani) e le sue opere sono stati al centro dell’intervento di Leonardi.
Lanna invece si è soffermato su tre aspetti particolari: la sua italianità, il fraintendimento della sua opera e il suo essere “politicamente scorretto”. Fante non parlava italiano ma la sua opera può essere considerata “identitariamente italiana” e come tale potrebbe essere inserito pienamente nella cultura e nella letteratura italiana come del resto Ezra Pound che ha scelto l’Italia. Lanna ha ricordato che Fante non fa parte della beat generation e non è mai stato considerato un autore di sinistra. Lo ha pubblicato Longanesi nel 1938, viene citato da Giuseppe Bottai nei suoi “Diari” nel 1942. Nel 1948 Giovannino Guareschi scrive una lunga recensione apologetica sul “Candido”.
E inoltre era letto dai giovani che dopo la guerra hanno fondato il Msi, come ricorda Luigi Battioni nel suo libro “Memorie senza tempo” dove lo cita assieme a Junger e Hamsun (lo scrittore norvegese che ha rappresentato un’illuminazione per Fante). Lanna ha poi letto alcuni passi dell’intervista pubblicata dal quotidiano napoletano “Roma” nel 1957 in cui ricordava l’importanza di Verga, Pirandello e D’Annunzio e dello stupore espresso da Fante quando ha scoperto che in Italia c’erano sei milioni di comunisti. Lui che ha sempre contestato i comunisti in America, soprattutto quelli presenti nel mondo del cinema che ha conosciuto bene, avendo fatto per vivere lo sceneggiatore, lavorando con Orson Welles, Billy Wilder, Frank Capra e il produttore italiano Dino De Laurentiis.
L’attore e regista Stefano Angelucci Marino ha voluto raccontare la sua esperienza artistica: avendo portato in scena una decina di spettacoli ispirati dalle opere di Fante e rappresentati non solo in Italia ma anche in Sudamerica. Fante scelto perché ha consentito di raccontare i giovani italiani arrabbiati non di sinistra. Il suo lavoro più conosciuto è “Arturo lo chef”, adattamento da “Un anno terribile” che ha superato le 1.600 repliche.
Il convegno è stato concluso da Alessandro Amorese che ha voluto ricordare la passione di Fante anche negli anni della sua vita, quelli della grande sofferenza, quando divenuto cieco per il diabete, ha dettato alla moglie il suo ultimo romanzo “I sogni di Bunker Hill” e ha sottolineato l’importanza di una figura come Fante con le sue luci e le sue ombre. «Un autore che ci piace, che vogliamo mantenere vivo nel ricordo e soprattutto vogliamo preservare così come è stato, irriverente e maledetto. Adoriamo il suo anticomunismo e non vogliamo che possa essere vittima della “cancel culture” tanto di moda tra gli accademici americani che vorrebbero riscrivere la storia, la cultura e la letteratura secondo canoni del “politicamente corretto”, escludendo autori scomodi e lontani dal mondo “progressista” oppure ricorrendo a rivisitazioni e riletture forzate».