Kosovo, l’impegno diplomatico di Palazzo Chigi per evitare il rischio di un nuovo Donbass
Non si allenta la tensione nel Nord del Kosovo, dove lunedì scorso sono stati feriti 34 militari della Nato, di cui 14 italiani del nono Reggimento Alpini ma non in modo grave, nel corso di scontri di piazza tra kosovari di etnia serba e albanese. La preoccupazione cresce anche a livello internazionale per l’influenza che la guerra in Ucraina sta avendo nell’area balcanica, dove anche un conflitto regionale potrebbe innescare una più vasta reazione in Europa.
È dal 1999 che la missione Kfor della Nato (Kosovo Force) opera sul posto per preservare la pace, dopo la guerra che si concluse con il ritiro delle truppe serbe. Nel 2008 il Kosovo ha dichiarato la sua indipendenza, riconosciuta da Stati Uniti e Unione europea, ma non da Serbia, Russia e Cina. Da almeno due anni i conflitti etnici hanno ripreso vigore: prima sulla questione delle targhe automobilistiche, faticosamente risolta con gli accordi di dicembre 2022.
Poi sulle elezioni locali di fine aprile in quattro cittadine del Nord, boicottate dalla minoranza serba (che però qui è maggioritaria) per chiedere più autonomia allo Stato centrale, e votate da meno del 4% dei kosovari albanesi. Venerdì 23 maggio sono iniziate le proteste contro l’insediamento dei sindaci, e il governo di Pristina, guidato da Albin Kurti, ha deciso l’invio di forze speciali di polizia. Da qui l’escalation degli scontri che ha poi coinvolto i militari Nato italiani, ungheresi e moldavi.
“Non tollereremo ulteriori attacchi nei confronti di Kfor”, ha ammonito la premier, Giorgia Meloni, pur confermando “l’impegno del governo italiano per la pace e la stabilità dei Balcani” al fianco degli alleati. In queste ore l’impegno diplomatico e operativo di Palazzo Chigi è massimo. Nella missione Kfor, infatti, la più numerosa della Nato con circa 3.800 soldati di 27 Paesi, l’Italia è protagonista non solo per il più ampio contingente di circa 800 uomini, ma anche per il comando guidato dal generale Angelo Michele Ristuccia.
Al suo seguito la Nato invierà nei prossimi giorni altri 700 soldati, come ha annunciato martedì il segretario generale, Jens Stoltenberg. Anche la reazione della Serbia, che gode dell’appoggio russo, non si è fatta attendere: il governo di Aleksandar Vucic ha inviato alcune truppe vicino al confine con il Kosovo, il cui eventuale intervento potrebbe far precipitare la situazione. Una mossa prevedibile, che aveva spinto fin da subito le ambasciate a Pristina di Usa, Ue, Francia, Germania, Italia e Regno Unito a “condannare la decisione del Kosovo di forzare l’accesso agli edifici comunali nonostante i nostri ripetuti appelli alla moderazione”. L’obiettivo, ora, è riattivare al più presto il dialogo tra Pristina e Belgrado ed evitare che il Nord del Kosovo si trasformi in un altro Donbass.
(ITALPRESS)