Il caso Mara Venier. Sulla sorte di Giulia si può piangere, ma guai a chiamare “mostro” il suo assassino

5 Giu 2023 10:29 - di Vittoria Belmonte
Venier
Mara Venier con le sue parole su Alessandro Impagnatiello ha causato una polemica che è la classica fuffa social. Lei conferma in diretta quanto ha già detto la madre di Alessandro Impagnatiello, l’assassino di Giulia Tramontano, incinta di sette mesi. “Signora, lei ha rilasciato un’intervista in cui ha detto ‘perdonatemi, perché mio figlio è un mostro’. Sì, signora, suo figlio è un mostro“.
Lo hanno pensato tutti, sicuramente la maggioranza della popolazione, ma dirlo squarcia un velo di ipocrisia. E’ liberatorio, in fondo, e infatti la stessa madre dell’assassino ha scelto quella parola. Brutale. Conclusiva.
Ma il canone del politicamente corretto impone pietà e lacrime per la vittima. E subito dopo pietismo buonista per il responsabile. Che viene chiamato familiarmente “Alessandro” e quasi mai con i nomi che gli competono: assassino, omicida e anche mostro. Sì, mostro. Perché è mostruoso ciò che ha fatto. Ha ucciso due persone, una delle quali era suo figlio, già bell’e formato e pronto a vivere. Psicologia, sociologia, tv del dolore nulla possono dinanzi alla reazione sana dell’opinione pubblica: considerare appunto un mostro un essere umano che compie tali azioni. E’ talmente irreversibile e irrinunciabile tale spontanea reazione che persino la madre chiede scusa per il “mostro”.
Ma inserirsi su questa scia sembra troppo brutto, guai a farlo perché ti possono accusare di insensibilità, scarso senso di umanità, basso tasso di buonismo. Dire “mostro” è così all’antica, è così vintage… Non rispetta la sofferenza della famiglia di lui, la quale invece – si suppone – si sente sollevata leggendo i minuziosi e dettagliati servizi che ricostruiscono il delitto, la confessione, che ritraggono lui riprendendo i giudizi dei colleghi che lo chiamavano “lurido”.
Leggendo  i particolari “scioccanti” che producono tanta audience e tanti like. In fondo la cosa è semplice: anziché usare queste feroci parole, che inchiodano l’assassino alle sue responsabilità e che provocano il giudizio di collettiva condanna che si esprime anche nel linguaggio, meglio dare la colpa al patriarcato. Al fatto che il maschio è ancora prevaricatore. Al fatto che la femmina è ancora preda. Una buona dose di ideologia ci salva da avventure lessicali troppo onerose per le mode social.
E così Mara Venier si è subito scusata: “Non volevo criticare la famiglia di Alessandro. Ho visto l’intervista della madre a La vita in diretta ed è stato straziante vedere questa povera madre soffrire in questo modo”. “Se ho commesso un errore, mi scuso, ma sono anche vicina alla sua famiglia”, ha continuato. “Stanno affrontando una sofferenza immensa: mi ha straziato vedere tutto ciò. Siamo solidali anche con lei e, se ho sbagliato, chiedo scusa, desidero subito smorzare le polemiche in corso”.
Soffriamo, lacrimiamo, ci indigniamo, mettiamo cuori infranti sotto la foto di lei. E lì dobbiamo fermarci. Ci è consentito solo indugiare sui “particolari choc”: quanto è durato l’accoltellamento, come ha tentato di bruciare il corpo, quante ore lo ha tentuo in macchina, quali le prime parole che ha detto al giudice. Tutto ciò che ci consente di vestire i panni di consumatori seriali e guardoni di cronaca nera. Guai ad andare oltre. Le parole definitive – e “mostro” lo è – non sono gradite.

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