Giuli: “La sinistra ha perso la sua narrazione. E si rifugia nel senso di colpa per mantenere il potere”

26 Mag 2023 12:58 - di Vanessa Seffer

Per parlare di ideologia Woke, termine non molto conosciuto, perché sostituito dal più diffuso politcally correct e ultimamente dal più forbito cancel culture, ossia stare svegli, all’erta, ma da cosa? Dalle ingiustizie sociali, dalle disuguaglianze, i soprusi e via così. Siamo andati a chiedere ad Alessandro Giuli, Presidente del Maxxi – Il Museo nazionale dele arti del XXI secolo, perché possa spiegarci in modo chiaro e pacato come suo stile, cosa c’è dietro. Perché qualcosa francamente non torna. Ha risposto da un luogo incantato, uno dei tanti tesori nascosti del nostro paese, la cineteca di Oppido Lucano, in Basilicata, una delle più grandi d’Europa. Che conserva una delle più importanti collezioni di cinematografia del mondo. Non si può negare che ci sia in atto una guerra culturale che alcuni definiscono “epurazione”. Dopo decenni di occupazione di certi spazi, soprattutto nel mondo della comunicazione, dinanzi alla quale si è assistito inermi, adesso si legge di dimissioni, spostamenti, cui seguono insulti e piagnistei.

Quante insidie ci sono dietro questa espressione modaiola, “Stay woke!”?

C’è sicuramente l’ultima riserva intellettuale di una sinistra che ha perso ogni forma di narrazione. Quando l’intellighenzia di sinistra si ritrova priva di una dottrina, come poteva essere il socialismo marxista, quando si trova priva di qualsiasi forma di progetto progressista di sistema, si rifugia nel senso di colpa. È una caratteristica culturale di un ambiente che ha mantenuto la propria presenza nei luoghi del potere intellettuale. Quindi l’arte, il cinema, l’informazione. E che non avendo più un arsenale teorico coerente e organico, cerca di mantenere la posizione giocando sul senso di colpa, legato ai diritti civili, al post colonialismo, tutte questioni che l’occidente ha già in realtà elaborato in sé.

Ha detto progetto progressista di sistema, ma sembra anche un puritanesimo progressista

Si è una forma di puritanesimo progressista che ha scombinato un po’ gli equilibri culturali di un occidente insicuro, che è alla ricerca di una nuova auto rappresentazione. È il segno di un’élite culturale in ritirata dalla realtà. Perché la realtà è molto più avanzata rispetto all’ideologia Woke. La società è composita, è colorata, è differenziata, in Italia si sposano i carabinieri ormai. Non c’è da sottolineare battaglie di civiltà di fronte a chissà quali rischi di torsioni regressive. È semplicemente l’ultima cassetta degli attrezzi di un mondo che sta perdendo la propria egemonia, pur avendo una presenza molto forte in tutti gli avamposti nei luoghi più influenti. Questo ci mette di fronte al dovere di immaginare e rappresentare una narrazione coerente, unitaria e alternativa a questa, secondo me.

Dato che si trova ad Oppido Lucano, mi viene spontaneo chiederle come mai, secondo lei, sceneggiatori registi e scrittori sanno prevedere il futuro. Mi viene in mente Emanuel Carrère, che stava girando in Russia, un cameo nel film tratto dal suo Limonov, nel quale diceva qualcosa che riguardava il perdere un pezzetto della propria nazione, proprio nel giorno in cui dichiaravano guerra all’Ucraina

Perché scrittori, artisti e sceneggiatori hanno una natura medianica. Tutti coloro che si dedicano alle idee e che si fanno possedere dalle idee, e tutti quelli che si mettono nella dimensione dell’ascolto, come diceva un grande storico delle religioni, Walter F. Otto, alla fine percepiscono le forze sottili della realtà che siano luminose, terrifiche, oscure o intermedie. Quindi gli artisti, in qualsiasi loro declinazione, per definizione, intuiscono la realtà. Poi i filosofi la articolano. Hegel diceva: “La filosofia articola la sostanza di ogni epoca”, ed era vero, la sistematizza, quando esisteva una filosofia sistematica, la politica organizza la società, le arti intuiscono le presenze immateriali.

È fondamentale ricordare il passato per non commettere gli stessi errori. Condannare il passato demolendo statue, abolendo testi, non è una forma violenta di discriminazione?  

È fondamentale conoscere e riconoscere il passato non solo per non commettere gli stessi errori ma anche per trasmettere lo stesso ingegno, lo stesso genio. E Paolo Portoghesi, che ho citato in una recente intervista, ma anche Norberg Schulz e altri architetti e paesaggisti, ci dicono che il futuro ci viene sempre incontro,  nella forma di una tradizione. Non può non essere rivolta anche alle origini lo sguardo di prospettiva verso il futuro. La nostra autobiografia storica è un’autobiografia morale e spirituale. Tutto ciò che siamo stati in ogni nostra forma ci deve rappresentare continuamente. Poi sta a noi selezionare quanto della nostra autobiografia spirituale, morale e commendevole, quanto è disdicevole e addirittura abominevole. Ma la rimozione come sappiamo bene, perfino dalla psicanalisi, genera patologie. Cioè il rimosso si ripresenterà sempre nella forma più spettrale.

Contestare, non essere d’accordo, va bene. Ma impedire a qualcuno di parlare, non è una forma di violenza?

Si certo, è violenza. E quello che è successo al Salone del Libro di Torino è stato un atto di violenza e di intolleranza nei confronti della libertà di Eugenia Roccella di parlare. Ed è stata una trappola in cui è caduto anche il direttore Nicola Lagioia che ha visto stravolgere il proprio programma. Che aveva delle pretese pluralistiche ed è finito anche lui nel tritacarne. Dopodiché, se io fossi stato in lui, avrei evitato il giorno dopo di rilasciare un’intervista articolata in cui parlava anche del pericolo di deriva autoritaria del governo, perché è stato strumentalizzato. Ci terrei a sottolineare che lo stesso Nicola è stato strumentalizzato da quella sinistra che si lamenta per qualsiasi forma di cultura proveniente da un’altra latitudine. Per qualsiasi forma di avvicendamento del potere. Devo dire che esiste anche una sinistra molto più matura, come ho già detto, penso a tanti cineasti intellettuali che dialogano con il mio ministero di riferimento, quello della Cultura. Penso a tante persone di sinistra che riconoscono a Giorgia Meloni le qualità per rappresentare l’Italia nel mondo. Comunque anche l’intolleranza a sinistra sta diventando un fenomeno insopportabile ma minoritario. E questo è un buon segno, perché noi dobbiamo unire e la nostra parola d’ordine dev’essere “Concordia”, questa è la sfida di una Destra matura, avanzata e di governo.

Comunque, si condanna frettolosamente, specie sul web. Se denunciare da una parte fa aumentare la visibilità, da un’altra parte espone a questa cosa che si chiama nel mondo anglosassone shitstorm, significa venire tempestati da una montagna di cacca, fino a diventare bullismo di massa

Questo perché i social sono moltiplicatori di violenza anonima. Semplicemente sono il rifugio dei passivo-aggressivi. Twitter a volte si trasforma nel bagno pubblico dell’odio. Ciò detto insisto nel dire che la realtà è sempre migliore di come viene rappresentata a volte anche dai mezzi di informazione, da politici sedotti dalla demagogia. Gli italiani sono più maturi di quello che pensiamo. E comunque anche l’odio nei social è un fenomeno sgradevole e nuovo e a tratti inquietante ma minoritario.

Come si può migliorare la situazione, cioè insegnare alle nuove generazioni a tollerare le opinioni altrui, non necessariamente condividendole? Insomma la libertà di espressione sì, però la buona educazione è fondamentale. Lo chiedo al filosofo

La premessa è che bisogna erigere un muro di luce contro l’intolleranza. E quindi censurare e biasimare pubblicamente chi impedisce a chicchessia di partecipare al discorso pubblico. La risposta sta in una nuova forma di civismo, di educazione. Che deve sopraggiungere nei luoghi della formazione. La crisi delle banche ci ha insegnato che serviva e serve l’educazione finanziaria. La crisi delle relazioni sociali ci dice che serve una nuova educazione civica. E il rapporto, ancora tutto da soppesare, tra l’uomo e la trasformazione tecnologica in corso, ci impone la ricerca di un umanesimo digitale, di una educazione all’umanesimo digitale. Questo si fa nei luoghi della formazione, si fa anche nei musei che non sono dei luoghi statici, si fa nelle università, si fa negli istituti scolastici, si fa perfino nei luoghi della politica dove si è moralmente protesi a garantire il pluralismo e la correttezza dei rapporti.

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