Da Fazio anni di buonismo, spot politici e un certo fastidio per la destra lautamente pagato da tutti noi

15 Mag 2023 11:08 - di Mario Campanella

Bisogna essere ricchi ma tanto ricchi per poter parlare di popolo e di progresso. Questa massima di Giovannino Guareschi si applicherebbe alla perfezione per Fabio Fazio, novello San Sebastiano trafitto dalle frecce, che lascia la Rai per passare a Discovery. Perché Fazio è così ricco che potrebbe persino salvare la sua amata Sampdoria dallo spettro del fallimento.

La sua società, quella che produceva Che tempo che fa ‘insieme a Magnolia, fatturava all’incirca 12 milioni di euro annui. Non male per un simpatico ragazzo ligure che ha iniziato con le imitazioni trasformandosi in un sacerdote placido del pensiero unico. Ne ha avuto successi Fabio. Addirittura la possibilità di intervistare il Papa, le ospitate di premi Nobel, gli intermezzi di Littizzetto. La solita, noiosa liturgia della bontà paciosa che diveniva buonismo sempre con il sentimento schifato di chi doveva sopportare che almeno la metà del Paese, se non di più, votasse a destra.

La cosa più rock che Fazio ha fatto in vita sua è stato un bellissimo programma, Anima mia, andato in onda il ’97 , che ha ricordato pedissequamente gli anni settanta televisivi. Quella è stata veramente alta televisione. Per il resto, dal calcio alla politica tutta una marea di luoghi comuni, bisbigliati con la prudenza del pretino di sinistra e con il volto rassicurante da sacrestia.

Proprio agli inizi del duemila parti il famoso editto bulgaro berlusconiano che avrebbe portato a silurare l’ex  cantore della superiorità della razza ed ex fascista Enzo Biagi. In quegli anni moriva Indro Montanelli, che del fascismo e di Berlusconi fu realmente oppositore, e su cui la grande mamma televisiva, nata nel ventre della DC, spese pochissimo tempo. La Rai è stata una potente macchina di consenso elettorale fino agli anni ottanta, quando venne rotto il suo monopolio. Oggi è anche sopravvalutata, considerando che le nuove generazioni viaggiano sui canali tematici e che le vecchie scelgono trasmissioni nazionalpopolari sempre meno visibili.

Fu proprio questa espressione, nazionalpopolare, coniata dal socialista Enrico Manca a fare andare via il demitiano Pippo Baudo da viale Mazzini il 1986. Ma non era un’espressione infelice. La Rai è stata straordinaria e preziosa quando faceva pedagogia, pur rimanendo nell’alveo democristiano, produceva sceneggiati straordinari , insegnava persino a leggere, univa Mike Bongiorno e Walter Chiari. Poi è avvenuta la tripartizione. E spariti i socialisti è rimasta la terza rete, inviolabile santuario postcomunista. In quella rete tutto è possibile. Anche le omelie di Fazio, surrettiziamente vocate al progressismo. E ben pagate, giusto ricordarlo, con i soldi di tutti.

Il Governo dovrebbe porsi il problema del futuro della televisione pubblica in relazione alla concorrenza esistente. È davvero giusto oggi pagare ancora un canone, ufficialmente dovuto al possesso dell’elettrodomestico , per finanziare palinsesti così fuori mercato? Il calcio non esiste più, al netto della nazionale, i talk show hanno una sola voce, e gli stessi TG regionali, un tempo assai preziosi, sono divenuti secondari rispetto alle TV private.

Un rilancio della TV di stato prevederebbe linguaggi adatti ai giovani, fiction su personaggi della storia obnubilati, un pluralismo che non è mai esistito di fatto e la proiezione verso il futuro. Fazio non sarà nemmeno poi tanto rimpianto. Avrà ancora il suo pubblico e un altro ricco contratto su quella simpatica faccia da genovese che sa predicare bontà pensando accuratamente al conto in banca.

 

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