Strage di Bologna, le inspiegabili stranezze del processo per falsa testimonianza

20 Mar 2023 17:24 - di Massimilano Mazzanti

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Nella cornice architettonica di Corte Galluzzi, ha sede una simpatica associazione: “Succede solo a Bologna. In linea d’aria, non è lontana più di 50 metri dalla sede principale del Tribunale e, dato quel che accade nel “tempio della giustizia” petroniano, il circolo che promuove le specificità del capoluogo emiliano potrebbe a maggior ragione farsi ospitare lì dentro.

Solo a Bologna, infatti, e solo per i processi inerenti al strage del 2 agosto 1980, può accadere che siano ammesse, nell’ambito di un processo, per esempio, le costituzioni di parte civile da parte di persone che non sanno spiegare nemmeno il motivo per il quale avanzano la richiestaquale danno avrebbero subito a causa delle azioni o delle parole dell’imputato.

Processo per falsa testimonianza, alla sbarra Luigi Ciavardini, il difensore dell’imputato, Ettore Pieracciani, chiede a uno di coloro che hanno presentato richiesta di costituzione in parte civile nell’ambito del processo in quale modo le dichiarazioni del suo assistito avrebbero recato a lui personalmente un danno.

La risposta è disarmante: l’uomo che si dice danneggiato dalle parole pronunciate dall’ex-Nar nel dibattimento a carico di Gilberto Cavallini, quelle parole non le ha mai neanche lette, non ne conosce il contenuto e, quindi, non ne può valutare la portata né, tanto meno, il valore presuntivamente offensivo a suo carico.

Ma c’è di più. Ciavardini siede oggi sul banco degli imputati essenzialmente per questa ragione: il non voler rivelare – come mai ha voluto rivelare – chi e dove gli medicò la ferita al volto rimediata il 28 maggio 1980 a Roma.

Per chi ha voluto processarlo, quella ferita gliela avrebbe curata Carlo Maria Maggi e, questa circostanza, mai dimostrata, aprirebbe degli scenari su cui, in questa sede, si può sorvolare.

Quel che giuridicamente fa testo, è che il silenzio di Ciavardini su questo punto è parte della sua strategia e condotta processuale da sempre e, per la precisione, nell’ambito del processo che lo visto giudicato e condannato proprio per la strage di Bologna.

Questo fatto è indiscutibile, tanto è vero che quelle due domande – da parte di chi e dove fu medicato – furono indicate dalla Cassazione come fondamentali nella sentenza di annullamento con rinvio del processo di appello a suo carico per il 2 agosto 1980.

Si è nel pieno dei tecnicismi processuali, ma è necessario afferrarne il senso: un imputato non può mai essere costretto, in sede di istruttoria e in sede dibattimentale, a far dichiarazioni che possono essere usate contro di lui.
In parole semplici: l’imputato in un processo ha anche il diritto di mentire o di tacere sulle circostanze di un fatto per il quale è considerato colpevole se, di contro, lui si professa innocente.

D’altro canto, è normale: è l’accusa che deve dimostrare la colpevolezza dell’imputato; non è questi a dover dimostrare la sua innocenza.

Se così non fosse, i magistrati non indosserebbero la toga, ma l’abito talare e non farebbero parte dell’ordinamento giudiziario, bensì della Santa inquisizione.

Nel caso di Ciavardini, però, dal momento che quella ferita la rimediò nel corso della sparatoria che vide morire Francesco Evangelista, omicidio per il quale Ciavardini ha ammesso le sue responsabilità e ha pagato già il conto con la Giustizia, secondo la Procura e le parti civili avrebbe l’obbligo, invece, di “testimoniare” e di dire la “verità”.

Un vero e proprio “gioco delle tre carte” di tipo processuale, dal momento che è chiaro come la cornice in cui si vorrebbe incastrare l’eventuale testimonianza dell’imputato non è affatto l’omicidio Evangelista – ormai “res iudicata” e ammessa -, bensì la strage di Bologna che, per quanto definita con sentenze altrettanto ormai inappellabili, vede Ciavardini protestare la sua estraneità.

Per non parlare, poi, del tentativo – per altro, incredibilmente riuscito – di “far restare” in questo processo anche Stefano Sparti, il figlio di Massimo Sparti, che avrebbe a sua volta dovuto rispondere di falsa testimonianza per le dichiarazioni rese sempre al processo Cavallini.

Stefano è tragicamente morto nel febbraio scorso e, dal momento che nessun tribunale ha potuto dimostrare alcunché a suo carico, la sua posizione avrebbe meritato un proscioglimento semplice e pieno.

Ma così non è avvenuto, in base a una richiesta delle parti civili che, in sintesi, pretenderebbero che si valutasse comunque la falsità – anche qui, mai dimostrata e ormai, pur troppo, indimostrabile – delle parole dello stesso Stefano Sparti, ovviamente ai fini di successivi procedimenti giudiziari.

Perché dal processo per la strage del 2 agosto, a Bologna, non si esce nemmeno da morti. Anzi, nemmeno da assolti, data la pervicacia con cui, sempre per iniziativa delle parti civili, si pretenderebbero di configurare nuovamente le posizioni di Sergio Picciafuoco e di altri, definitivamente prosciolti dalle accuse con sentenze passate in giudicato e, per altro, passati a loro volta a miglior vita. Succede solo a Bologna, ma succede: come nel Medioevo, si riesumano salme da portare al rogo.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • Giancarlo Cotroneo 21 Marzo 2023

    L’unica verità mai perseguita dai magistrati bolognesi (tutti di stretta fede stalinista, si deve presumere) è quella, verosimile e probabilmente vera, della pista libico/palestinese, con la supposta presenza di Carlos, e di un fedayn referente di Pifano, a Bologna prima della strage . Il solo PM che indagò su questa ipotesi fu in breve rimosso dall’inchiesta e destinato ad altri incarichi . Come per la Lockeed, come per Telekom Serbia, come per lo scandalo “aiuti all’Albania”(inchiesta Margherita) , come per l’affondamento, con oltre 100 morti, del barcone di profughi albanesi, ogni volta che le inchieste sfiorano la sinistra vengono SOFFOCATE in culla . Chissà come mai ?

  • Riccardo 21 Marzo 2023

    Tutta una farsa, si evinse già dalle prime ricostruzioni, inutile parlarne ancora, sarebbe giusto portare il processo in altra sede, distante da quel caos politico-mediatico e giuridicamente falsificato.

  • FAUSTO 21 Marzo 2023

    Occorre la scopa per ripulire la magistratura, anzi lo scacquone.

  • Massimo Caravita 20 Marzo 2023

    43 anni di calunnie è una farsa.

  • Massimo Caravita 20 Marzo 2023

    Io non ero a Bologna