Ricordo di Angelo Mancia, barbaramente ucciso dalla Volante rossa 43 anni fa. Nessuno ha mai pagato

11 Mar 2023 13:04 - di Federico Gennaccari
Angelo Mancia

Il 12 marzo 1980 è un mercoledì. Angelo Mancia è un ragazzone di 26 anni, lavora come fattorino al “Secolo d’Italia” ed è segretario della sezione del Msi-Dn del quartiere Talenti. Fa parte del gruppo vicino a Michele Marchio. Quella mattina esce di casa per recarsi al giornale. E’ un attivista, sa essere prudente. Nei giorni precedenti sono apparse alcune scritte minacciose nel quartiere. Quando esce dal portone vede due infermieri che si trovano sul marciapiede, ma non ha motivo per insospettirsi. L’uscita del suo palazzo non affaccia direttamente sulla strada ma rimane nell’interno. Bisogna percorrere un vialetto di pochi metri. Quando si avvicina, si sente chiamare e solo allora vede le pistole e capisce, tenta di tornare indietro per rientrare dentro il portone, ma sparano e dopo pochi passi cade a terra, colpito da due colpi. Poi uno dei due si avvicina e gli spara il colpo di grazia alla nuca. Vogliono essere sicuri di averlo ucciso. Volevano uccidere un segretario di sezione del Msi-Dn: il giorno prima altri terroristi erano sicuri di aver colpito il segretario del Flaminio, Gianfranco Rosci e invece avevano sbagliato bersaglio per cui era stato ucciso un ignaro cuoco, Luigi Allegretti scambiato per Rosci, anche per lui il colpo di grazia alla nuca. Per Mancia arriva la rivendicazione da parte dei “Compagni Organizzati in Volante Rossa”.

Il 12 marzo di 43 anni fa l’omicidio brutale del giovane missino  Angelo Mancia

Gli anni 1979-1980 sono “anni di piombo” in cui il terrorismo imperversa e “gambizzare” diventa purtroppo un termine quotidiano. Prima di uscire di casa si ascolta la radio per sapere chi è stato colpito quella mattina. Nei primi mesi del 1980 una media di tre, quattro attentati al giorno, contro obiettivi diversi e talvolta imprevedibili. Infatti oltre alle caserme dei carabinieri, i commissariati di polizia, le sezioni dei partiti e le abitazioni dei “nemici” troviamo anche scuole e persino un asilo-nido. In questo clima si inserisce tra febbraio e marzo, una serie di attentati e omicidi tutti rimasti senza colpevoli, come se fosse stata opera di fantasmi spariti nel nulla e di cui nessuno, anche a distanza di più di 40 anni ha sentito parlare. Chi ha ucciso l’autonomo Valerio Verbano il 22 febbraio 1980? Chi ha ucciso il missino Mancia?

Angelo Mancia, fattorino del “Secolo d’Italia”; i ricordi di Mazza e Baldoni

I Compagni Organizzati in Volante Rossa sono rimasti totalmente sconosciuti al punto che si ignora se fossero effettivamente “compagni” (in un libro scritto da ex brigatisti rossi non sono neppure citati tra i gruppi terroristici di estrema sinistra) oppure direttamente espressione di chi aveva interesse che gli opposti estremismi continuassero a scontrarsi duramente e a combattersi nelle strade e nelle piazze. Mancia non era un bersaglio facile. Il fattorino del “Secolo d’Italia”, era un ragazzone robusto e coraggioso, soprannominato “Manciokan” (erano i tempi del Sandokan televisivo), un generoso attivista sempre disponibile, il classico amicone di tutti, segretario della sezione Talenti, un “picchiatore” coinvolto in qualche episodio di rissa che però, come racconta Mauro Mazza ne “I ragazzi di via Milano” era capace anche di scambiare qualche battuta col presidente della Repubblica, Sandro Pertini come talvolta gli capitava la mattina presto a piazza di Spagna poiché il presidente non abitava al Quirinale.

Lo avevano preso di mira, ma lui: “Non mi tocca nessuno”

Ricorda Adalberto Baldoni: “Allora ero caposervizio interni, con Angelo c’era un rapporto non solo sul lavoro ma anche umano e politico. Abitavo anch’io a Montesacro, lo stesso quartiere dove due settimane prima era stato ucciso lo studente Valerio Verbano appartenente ad Autonomia Operaia. In quei giorni nel quartiere il clima era molto pesante. La sera prima dell’omicidio incontrai Angelo davanti alla sede del giornale in via Milano. Gli dissi di essere più prudente dato che erano apparse scritte minacciose sui muri contro di lui. Era evidente che lo avevano preso di mira. Osservò: «Anche tu abiti lì vicino». A quel punto gli confidai di essermi trasferito momentaneamente altrove dopo essere sfuggito ad un paio di aggressioni. Angelo mi rispose col suo tono un po’ spavaldo: «Anche altri me l’hanno detto, di cambiare aria. Ma a me, Adalberto non mi tocca nessuno. Mi conoscono: facciamo a botte poi tutti insieme a giocare a pallone»”.

L’attentato alla tipografia del “Secolo d’Italia”

Stavolta la situazione è diversa. Il 22 febbraio è stato ucciso dentro casa l’autonomo Valerio Verbano, 19 anni. Gli assassini, a volto scoperto, si sono fatti aprire la porta e dopo aver immobilizzato la mamma e il papà hanno atteso il ritorno del giovane da scuola per ucciderlo dopo una breve colluttazione. Verbano aveva realizzato un vasto schedario sui missini e sugli estremisti di destra. L’omicidio è stato rivendicato dai Nar (non sarà mai individuato nessuno, anche i pentiti non forniranno alcun elemento al riguardo). Il giorno dopo autonomi aggrediscono due carabinieri in borghese scambiati per estremisti di destra che reagiscono sparando e ferendo un giovane estremista. Il 7 marzo attentato alla tipografia di via del Boschetto, dove si stampa il Secolo d’Italia che aveva causato il ferimento di alcuni tipografi (i più gravi Carlo Ugentini e Giacomo Berrettoni). In quel momento la redazione e la tipografia erano affollate dai giornalisti e dalle maestranze, intenti all’impaginazione del giornale. Fortunatamente non è esploso un altro ordigno notato dai dirigenti federali missini Donato Lamorte e Rita Marino, tra i primi ad accorrere sul posto, e subito rimosso dai vigili del fuoco. L’8 marzo attentato con una bomba sotto la finestra di Tonino Moi, militante missino del Tuscolano, dirigente nazionale del FdG. Il 10 marzo nella sede del FdG di via Sommacampagna per un caso un giovane ha scoperto un ordigno che se fosse scoppiato avrebbe provocato una strage dei numerosi ragazzi presenti. In serata viene ucciso, nel quartiere Flaminio per un errore di persona il cuoco Allegretti (delitto rivendicato dai Compagni organizzati per il comunismo) scambiato per il missino Rosci.

“Vogliono spaventarci, non ci riusciranno”

Per dare la notizia dell’uccisione di Mancia, il “Secolo d’Italia” fa una scelta estremamente significativa. In alto sotto la testata scrive, listato a lutto, “ANGELO MANCIA militante del MSI-DN assassinato da terroristi rossi nel quadro di una offensiva terroristica contro il MSI-DN” con accanto la foto e la didascalia “Angelo Mancia, 27 anni, caduto nella battaglia nazionale ed anticomunista: a Lui l’onore di tutti coloro che amano la libertà”. Quindi il titolo di apertura del giornale è su tre righe. “Vogliono spaventarci / Vogliono la guerra civile / Non ci riusciranno”. Segue il sommario: «Il giovane caduto era segretarío della Sezione «Talenti» e dipendente del nostro giornale – È stato ucciso in un vigliacco agguato, sotto la sua abitazione, mentre si recava al lavoro – Il crimine rivendicato dalla “Volante rossa” – Un sanguinario disegno di intimidazione e di provocazione cominciato con le bombe al “Secolo”, proseguito con la mancata strage al FdG e l’attentato ad un dirigente del partito, conclusosi con un tragico errore di persona – Commossa, sdegnata, ferma e responsabile la reazione della nostra gente – Almirante assume la diretta e personale responsabilità della Federazione romana – Alla Camera Tripodi denuncia la colpevole inerzia del regime nel prevenire e reprimere il terrorismo – Anche al Senato immediati ed energici interventi del nostro Gruppo».

Non ci saranno vendette. Il Msi rispose con fermezza e responsabilità

Un un riquadro: “Ci difenderemo anche da soli” si dà notizia del documento della Segreteria nazionale, mentre nel colonnino “Provvedimenti d’emergenza” si comunica che Almirante «ha deciso di assumere la responsabilità diretta e personale della Federazione romana del partito», in un altro colonnino si riporta la dichiarazione di Almirante col titolo “Sanguinosa trappola”.
Nel documento della segreteria si afferma che «alla provocazione e alla sfida sanguinosa della estrema sinistra terroristica, e di qualsiasi gruppo, che con qualsiasi etichetta tenti la strada della provocazione e della sfida, il Msi-Dn risponde con la fermezza responsabile che ha sempre contraddistinto la sua azione, e con l’impegno di portare avanti duramente, la battaglia per la difesa della libertà». Per Mancia non ci saranno vendette. Si interrompe così la spirale di violenza, facendo fallire il tentativo di acuire gli opposti estremismi. Il ricordo di Angelo è tenuto sempre vivo. La sezione di via Etruria a Roma  è da sempre a lui intitolata. C’è una targa che lo ricorda ed ogni anno il 12 marzo si ricorda con corone e fiori il vile assassinio rimasto impunito.

Chi erano i compagni della Volante rossa

L’attentato a Mancia viene rivendicato da una sigla anomala, i Compagni organizzati in Volante rossa, e il giovane sarebbe stato ucciso perché collegato in qualche modo all’assassinio di Roberto Scialabba nel febbraio 1978 (stranamente nessun riferimento a Verbano). Nei quartieri Montesacro e Talenti qualche anonima scritta murale, tende ad accreditare invece l’ipotesi che il suo omicidio sia da porre in relazione con l’uccisione dell’autonomo Valerio Verbano, dopo la quale era stato attaccato un manifesto non firmato dal titolo “E’ morto un partigiano altri cento ne nascono” con una foto di partigiani armati della Volante Rossa che operava a Milano tra il 1945 e il 1949 e sotto la scritta “Valerio un comunista. La sua vita, la sua figura, non va spiegata, raccontata, è dentro tutti noi è nel movimento rivoluzionario. Non un nome su di una via ma su tutte le vie su tutte le piazze”. La sigla terroristica che rivendica l’assassinio di Mancia è apparsa unicamente a Roma. I Coinvr avevano fatto la loro prima comparsa il 25 gennaio 1979 rivendicando l’agguato, in cui erano stati feriti un medico, Nicolino Nusca, simpatizzante missino, e suo figlio Antonello. La “Volante rossa” ha rivendicato altri attentati di quei giorni del marzo ’80 sempre nei confronti di obiettivi di destra, tra cui quelli contro la tipografia del Secolo, il dirigente nazionale del Fronte della gioventù Tonino Moi, la sede dei giovani missini di via Sommacampagna, l’abitazione del giornalista Mario Pucci il 14 marzo e poi silenzio fino al 2 settembre per un attentato alla libreria Editrice Europa di via Cavallini allora gestita da Mario Trubiano. Inoltre in tutti gli attentati dei Coivr c’è sempre stata almeno un’altra rivendicazione e sempre di sigle “dubbie” (Gruppo Proletario Organizzato Armato, Compagni organizzati per il comunismo e altri).

43 anni senza colpevoli

Comunque nessuna rivelazione è mai stata fatta sui Coivr. A distanza di 43 anni i fatti di quel febbraio-marzo 1980 e le uccisioni di Verbano, Allegretti e Mancia sono ancora da chiarire. Anche per questo si spera che venga approvata al più presto la Commissione parlamentare d’inchiesta sui delitti insoluti degli “anni di piombo”. Resta la consolazione che Mancia (e Verbano) sono state le ultime vittime della violenza politica degli “anni di piombo” e dopo di loro c’è stata solo l’uccisione di Paolo Di Nella nel febbraio 1983 per porre fine a quella che è stata la “notte più lunga della Repubblica” (come titolarono un loro saggio Adalberto Baldoni e Sandro Provvisionato) che però è ancora buia su tante vicende.

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