L’Accademia della Crusca boldriniana a metà: sì al plurale maschile a patto che non sia “marcato”
Dall’Accademia della Crusca arriva la rivoluzione a metà, operazioni di microchirurgia sulla lingua giuridica. Un po’ sì un po’ no, all’insegna di un vocabolario “inclusivo” che non discrimini l’identità di genere. Ispirato allo “spirito dei tempi”, dicono i puristi della lingua di Dante. E all’ossessione boldriniana di declinare i sostantiv0 al femminile a tutti i costi. I puristi la definiscono “una spinta europea e transoceanica che non va sottovalutata”.
L’Accademia della Crusca: no a addoppiamenti maschile-femminile
Niente asterischi e schwa, no all’articolo davanti al nome (la Meloni, la Schlein). E no alle reduplicazione retoriche (i cittadini e le cittadine, le figlie e i figli). La massima autorità in fatto di linguaggio risponde così a un quesito del comitato pari opportunità della Corte di Cassazione sulla scrittura negli atti giudiziari rispettosa della parità di genere. Niente raddoppiamenti. Ma per non scontentare i fanatici del politicamente corretto l’Accademia dà il via libera al plurale maschile solo a condizione che sia “non marcato”. Insomma va bene il maschile purché “si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare”.
Via libera al plurale maschile ma non ‘marcato’
Ma il consiglio, dove si può, è quello di utilizzare termini neutri. Sostituendo, per esempio, “persona” a “uomo”, “il personale” a “i dipendenti”. ). E sempre il maschile non marcato si può usare quando ci si riferisce – dice ancora l’Accademia della Crusca – “«in astratto all’organo o alla funzione, indipendentemente dalla persona che in concreto lo ricopra o la rivesta”. Ad esempio “il Presidente del Consiglio”.
Niente asterischi e scevà: sì alle professioni al femminile
Tra le prescrizioni pratiche emerge in no all’utilizzo nella lingua giuridica di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato come “Car* amic*, tutt* quell*. Identico no per lo scevà o schwa. Una lettera derivata dall’alfabeto ebraico che indica o l’assenza di suono vocalico, o un suono vocalico indistinto. Ma che ultimamente è diventato di gran moda. La lettera non lettera, la vocale non vocale senza suono per non offendere. Soprattutto nella corrispondenza. Una sterilizzazione della lingua quando non si sa che pesci prendere.
Niente articolo davanti al cognome: è discriminatorio
Per il resto, l’Accademia suggerisce di “far ricorso in modo sempre più esteso ai nomi di professione declinati al femminile”. Che dettaglia poi in base a classi di nomi, desinenze, suffissi, forme composte ed eccezioni. Magistrata, avvocata, difensora, colonnella, architetta, procuratrice, questora, pubblica ministero e via elencando. Niente articolo davanti al nome. “Oggi è considerato discriminatorio e offensivo non solo per il femminile, ma anche per il maschile”.