Vent’anni senza Gaber. L’indimenticabile “signor G” che la sinistra tentò invano di arruolare (video)

4 Gen 2023 11:49 - di Gloria Sabatini

Vent’anni senza il Signor G. Tanti ne sono passati dalla morte di Giorgio Gaber. E la sua assenza dalle scene si sente forte perché l’artista milanese ha dato la scossa a tutti noi. Con buona pace della sinistra che, come in altri casi, ha cercato di tirargli la giacchetta. Fino a criticarlo per aver sposato Ombretta Colli, troppo di destra.

Vent’anni senza Gaber. La sinistra provò ad arruolarlo

Su di lui critici e colleghi hanno riversato valanghe di parole. Esegesi forzate, coccodrilli un po’ scontati. Ma anche ritratti commossi e ricordi sussurrati. Hanno scritto del suo naso, adunco ed enorme, da esibire come un modernissimo Cirano. Hanno scritto delle sue mani nodose a evocare radici antiche e moderne nevrosi. Hanno scritto della sua balorda fisicità, del suo pessimismo soave, della sua sincerità disarmante. Del suo carisma teatrale, tutto nervi e intelligenza. E della sua intolleranza per i polli di allevamento.

Da Torpedo blu al Teatro Canzone

Della sua parabola artistica da Torpedo blu a Io non mi sento italiano. Del gran rifiuto del piccolo schermo. Del pessimo rapporto con la politica (“Lo Stato, peggio che da noi solo in Uganda”). È morto il “vate dei cani sciolti”, ha detto qualcuno quando il Signor G se n’è andato. E giù a limare etichette, a coniare aggettivi convenzionali. Molti dei quali lo farebbero beffardamente sorridere. Impegnato certo, vate non proprio. Era uno incapace di non schierarsi, che le mandava a dire a tutti con quel modo unico di stare sul palco. Ma non aveva la presunzione di guidare nessuno. Anche la sua delusione per la sinistra non è mai urlata. Ed per questo è ancora più autentica.

I versi corsari contro la mediocrità e il dogma del mercato

E quanta tenerezza per chi vorrebbe chiudere in un recinto la sua sofferenza, i suoi versi corsari contro la mediocrità,  l’evasione collettiva, il dogma del mercato. Molto meglio far parlare le sue canzoni. Riacciuffare con la memoria una serata a teatro, per chi ha avuto la fortuna di esserci. Mettere su il primo video che capita, va bene uno qualsiasi di quelli che inondano i social. Mollare gli ormeggi e guardarlo. Per “far finta di essere sani”. Il Grigio ci ha catturato fin da subito. Ci ha stregati, ci ha condotti senza iattanza per i sentieri dell’uomo.

Quelle parole sussurrate contro il Pci: qualcuno era comunista…

Ci ha fatto sorridere immedesimandoci nel torpore rallentato di Shampoo, ci ha fatto tremare all’idea di somigliare all‘Uomo che perde i pezzi, ci ha fatto venire i brividi ascoltando Qualcuno era comunista (abbiamo cambiato comunista con fascista, il risultato non cambia), ci ha fatto commuovere con l’Appartenenza (“non è un civile stare insieme, è avere gli altri dentro di sé”), ci ha fatto brindare con Barbera e Champagne, ci ha fatto inalberare con Io se fossi Dio, le br, la cancrena italiana, Aldo Moro, la Democrazia cristiana. Quelle torte in faccia alla sinistra, che gusto. Anche lui, come Pier Paolo Pasolini, un nume ingombrante, un compagno scomodo. Ma, quel che conta, ci ha fatto sentire vivi. Unici.  Soli ma insostituibili. Proprio lui, l’anarcoide, l’individualista, il dio che fugge in campagna. Il pessimista.

Luporini: con lui c’era sempre roba da masticare

Oggi Sandro Luporini, 92 anni di cui un terzo trascorso con Giorgio Gaber, sospira. “I ragazzi non ci conoscono”, dice il paroliere e inventore del Teatro Canzone. Vorrebbe essere ricordato per i suoi dipinti, se non fosse per ” la parentesi trentennale” con Gaber e quegli spettacoli che hanno raccontato la storia d’Italia dal ’68 al riflusso fino al berlusconismo. “Con Giorgio era un continuo parlare, parlare, parlare. C’era sempre della roba da masticare”. Se potessi mangiare un’idea- recita il testo di un canzone capolavoro – avrei fatto la mia rivoluzione.

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