Yukio Mishima, 52 anni fa il suicidio con il seppuku: l’«eterno» che piace anche a sinistra
52 anni fa, in un mattino uggioso d’autunno, Yukio Mishima metteva fine alla sua vita, a soli 45 anni, con il seppuku, una forma tradizionale di suicidio nipponico. Chiudeva troppo presto una straordinaria e feconda vita letteraria, dedicata in gran parte alla dimostrazione estetica del suo vivere in ragione dell’imperatore, che lo avrebbe certamente portato al riconoscimento del Nobel e che già lo consacrava tra i più grandi scrittori del Novecento. Inge Feltrinelli mi raccontò dì come la casa editrice, storicamente legata alla sinistra massimalista e rivoluzionaria, lo avesse sdoganato in Italia riconoscendone il valore autarchico e propulsivo, pur nella considerazione generale e complessiva che egli fosse, più dì Céline, un autore “maledetto” di destra. Si era schierato per il patto di acciaio in chiave fideistica, rifiutando il compromesso della resa del ’45 e considerandolo l’avvio della decadenza e della consegna di un’enorme cultura dì massa all’americanizzazione. Un concetto che avrebbe ulteriormente amplificato negli anni del dopoguerra e del boom espansivo giapponese coincidenti con i suoi più spettacolari scritti.
Mishima, le pubblicazioni di Feltrinelli
Feltrinelli pubblicò progressivamente prima La voce delle onde, poi Il Padiglione d’oro e quindi Le confessioni di una maschera incontrando una straordinaria adesione culturale e radicale divaricata tra i due blocchi contrappositori. Dalla sua totale sottomissione all’imperatore , alla esaltazione della fisicità come momento di simbolo del sacrificio, non vi è dubbio che egli possa e debba essere considerato un uomo di destra. Eppure, nonostante una spiritualità così esacerbata, e un nazionalismo che aveva i crismi di religiosità, Mishima fece innamorare una vasta platea di sinistra che coglie le sue analisi sulla decomposizione dell’Occidente come profezia di superamento del capitalismo amorale.
Quell’orizzonte delineato e perso
La sua “spada” sguainata e poi drammaticamente rivolta a sé come contraltare al sonno dello spiritualismo nipponico è il grido di battaglia per smascherare l’illusione della globalizzazione ante litteram successiva alla guerra. Nel maggio del ’69 Mishima va a confrontarsi in Università a Tokyo con il movimentismo dì sinistra. Un incontro che segna una sorta di armistizio in un quadro di diffidenza reciproca. Mishima addebita alla sinistra, frammentazione del suo mondo culturale, l’arrendevolezza al pensiero unico. È uno degli scrittori più letti del mondo ma anche un samurai che tenta disperatamente di ricostruire la nobiltà della sua origine fino a protestare con la vita dinanzi a un orizzonte ritenuto troppo delineato e perso.
L’Io come essenza dì un sentimento nazionale e popolare
La sua connotazione di destra rimane nella celebrazione dell’Io come essenza dì un sentimento nazionale e popolare. Incontra Bataille, prende a prestito Freud in Musica, elogia indirettamente Marcuse ma non diventa organico mai al marxismo. Che considera speculare al materialismo della colonizzazione culturale e politica susseguente alla guerra e antitetico al suo mondo e alla sua dimensione vera. Anche la sua omosessualità , culminata nella morte con Morita ,il suo amante, il 25 novembre del 70, è vissuta quasi come una ribellione del corpo alla formulazione dì una verità assoluta.
Yukio Mishima e il Pantheon della destra
Ne scriverà bene Margherite Yourcenar in un saggio del 1982, restituendogli la più profonda dimensione umanistica . Che sia tanto amato per la sua prosa e la sua incisività stilistica anche a sinistra è un fatto naturale. Che Yukio Mishima appartenga al Pantheon dei grandi pensatori della destra del Novecento è altrettanto acquisito. E in quel Pantheon regna sovrano